I CONFINI DEL MONDO
di Francesco Vidotto
Era inverno e la bora soffiava a pieni polmoni.
La città di Trieste, battuta da un vento
ghiacciato, si apprestava a vivere la notte
silenziosa. Piazza dell'Unità, deserta e
molto illuminata, era percorsa solo da qualche
sacchetto vuoto che veloce la sfiorava turbinando
per poi svanire sospinto dall'aria battente.
Stretto nel mio paltò marrone, inclinandomi
contro vento per non perdere l'equilibrio,
cercavo un locale dove poter mangiare qualcosa.
Camminavo rapido, un passo dietro l'altro,
socchiudendo gli occhi e respirando il necessario.
Avevo freddo ma ero felice. Proprio quel
giorno al lavoro ero riuscito a farmi sentire,
a dire la mia e.sorpresa. era piaciuta! Nuove
prospettive di carriera mi si paravano d'innanzi.
L'indomani sarei ritornato a casa, in montagna,
dalla nonna, dai miei, nel mio spicchio di
mondo, fatto tutto sommato di poche preoccupazioni.
Il tempo per me non esisteva. Non vedevo
incertezze sulla mia strada. Sorridevo contento
nel vento.
Girato l'angolo, a terra, un barbone rannicchiato
tremava. Un cappotto logoro lo copriva, guanti
e scarpe bucate fingevano di scaldarlo. Tremava
come una foglia. Non mi domandò nulla. Rimase
immobile. Mi avvicinai impietosito inginocchiandomi
vicino all'uomo.
"Mi sente?" - domandai - "mi
sente signore? Vuole scaldarsi? Venga con
me, forza, l'aiuto io"
Volevo accompagnarlo in un locale per farlo
scaldare, per offrirgli qualcosa. Il vecchio
non si muoveva, sembrava di sasso. D'improvviso
si voltò fissandomi immobile. I suoi occhi
s'accesero d'un lampo celeste intenso che
bruciò in loro a lungo. Mi guardava luminoso,
impersonale. Accucciato in quella via mi
persi nella luce turchina entrando piano
in lui.
Aprii gli occhi lentamente, come se mi risvegliassi
da un lungo sonno. Dopo pochi attimi di esitazione
un dolore profondo ai polmoni mi fece tossire.
Sentii il sapore del sangue sulle labbra.
Le braccia, le gambe, tutto quanto il mio
corpo era congelato e immobile, accasciato
su di una superficie rigida e fredda. Subito
la memoria iniziò a scavare a fatica in un
passato incerto per reperire qualche risposta
sensata. Gli accadimenti del giorno trascorso
parevano lontani, quasi inesistenti. Vedevo
invece vivida l'immagine di una moglie e
tre figlie strette attorno ad un tavolo di
formica marrone, ferme all'interno di una
cucina dai muri scrostati. Vedevo nitidamente
il giorno dei loro funerali. Ricordavo il
dolore profondo, le lacrime che stentavano
a sgorgare, i singhiozzi, la disperazione.
Vedevo la lettera di licenziamento e poi
lo sfratto. Il bisogno di chieder aiuto e
l'angoscia di non trovare alcuna mano tesa.
Infine l'ospedale e quella diagnosi terribile
di cancro ai polmoni. Sentivo la realtà stringersi
attorno a me come una morsa spietata. Non
mi dava occasione di pensare al domani, di
progettare un futuro o semplicemente di non
pensare. Non riuscivo a vedere il mondo immenso
come un tempo, denso di occasioni e alternative,
di luoghi da visitare, da scoprire, da gustare.
Il mio confine moriva sul nascere del marciapiede
in fronte a me, nulla più. Avevo vinto la
disperazione solamente rassegnandomi. Un
colpo di tosse violento d'improvviso mi scosse,
sputandomi nuovamente nei panni di un giovane
benestante e ambizioso, chino su di un poveraccio,
intento ad aiutarlo.
Da quella sera così strana considero la felicità
un regalo fragile e prezioso. Sto molto attento
a non giudicare, consapevole che il mio giudizio
è radicato in una realtà forse troppo fortunata
e, soprattutto, faccio attenzione a non scordare
che il mio mondo. non è l'unico mondo.
FRANCESCO VIDOTTO http://www.francescovidotto.com/