OFFERTE DI LAVORO
di Sacha Rosel
Mi ero laureata in lettere moderne da due
anni e, come ogni settimana, aspettavo il
mercoledì per recarmi in biblioteca e consultare
i nuovi numeri della Gazzetta Ufficiale e
del Bollettino del Lavoro.
Quello era proprio un mercoledì, fitto di
nuvole grigie gelatinose che macchiavano
il cielo. Con mano fiduciosa girai la maniglia,
certa di trovare il tanto agognato lavoro.
Respirando forte entrai, ma non appena giunsi
al bancone per la consultazione notai che
ad attendermi non c'era la signora paffutella
di sempre: un uomo ligneo in doppio petto
mi scrutava sprezzante, come per decifrarmi.
Pensando alla signora, forse misteriosamente
sostituita o in prepensionamento (in fondo
non poteva avere più di cinquant'anni), cercai
d'ignorare il ghigno idiota della cravatta
rossa e verde che mi alitava sugli occhi,
e chiesi:
"Mi scusi, vorrei consultare l'ultimo
numero della Gazzetta Ufficiale, per favore".
Visibilmente seccato dalla mia richiesta,
il giacca-e-cravatta sputò meccanicamente,
quasi recitasse un'omelia imparata a memoria:
"La Gazzetta Ufficiale è stata ufficialmente
abolita dal governo in quanto residuo del
potere statalista". La macchina parlante
spenta, ritornò in posizione rilassata.
Con un taglio di cemento cadutomi all'improvviso
dentro il sangue, azzardai a chiedere:
"Allora, se possibile, vorrei poter
consultare l'ultimo Bollettino del Lavoro".
Un lieve sussulto sembrò inceppargli la mascella,
ma ecco che ripartiva:
"Il Bollettino del Lavoro è stato ritirato
dal commercio e la sua sede sequestrata in
quanto attività ordite dalla retrovia comunista".
La sensazione di cemento si fece più fitta
nella mia pelle affondando giù, fin nelle
ossa.
"Va bene" riuscii ad emettere a
fatica, "mi dia quel che c'è, per cortesia".
Con un cenno svogliato della mano m'indicò
un tavolo, dove un caos di riviste s'ammucchiava
stretto. Guardando meglio mi accorsi che
si trattava sempre della stessa rivista,
stampata in serie in un unico numero, il
primo uscito da quando il governo ne aveva
autorizzato la pubblicazione con tanto di
timbro - "Approvato dal Consiglio dei
Ministri".
Ne presi una copia per dare un'occhiata alle
offerte di lavoro, pur con una concreta probabilità
di non trovare nulla di compatibile con la
mia preparazione. Le premesse non erano certo
incoraggianti. Sedendomi cercai di trattenere
la saliva alla vista dell'insulso titolo:
Tentando d'ignorare le svariate foto di uomini
in doppio petto sorridenti modello prima
comunione sparse nelle prime pagine, concentrai
l'attenzione sull'indice, che stranamente
non prevedeva una divisione in regioni ma
solo due spazi distinti, "uomo"
e "donna". Andai a pagina 80, dove
appunto iniziavano le offerte di lavoro al
femminile, estese per tutta la seconda metà
del giornale - "80 pagine, esattamente
come quelle riservate alle offerte al maschile!",
recitava il comunicato del Ministro per le
Pari Opportunità riprodotto a pagina 80 -
e cominciai ad analizzare la parte scritta,
nel vago tentativo di trovare qualcosa che
facesse a caso mio.
Pensai che i miei occhi si fossero spenti,
o che qualcuno li avesse inceneriti di rabbia:
dalla sua postazione in bianco e nero, una
biondina nuda con labbra finte e sguardo
ottuso spalancava le gambe all'obiettivo
dominatore invisibile di un fotografo. Accanto,
una scritta ammiccante profferiva la sua
offerta:
Nella pagina a fianco, una ninfetta giuliva
in topless esclamava soddisfatta attraverso
una nuvola disegnata: "Evvaaai! Ce l'ho
fatta anch'io!", con programmatica offerta
di lavoro a fianco.
I miei occhi erano ormai una crosta nera
di furore quando giunse l'ultima, ennesima
pagina d'insulti alla mia dignità di donna
con la d minuscola. Ne avevo più che abbastanza:
bastava trovare la sede locale della merda
di giornale in questione e cantargliene quattro.
Tornai alle prime pagine: l'edizione per
l'Abruzzo aveva una sede regionale a L'Aquila.
Annotai l'indirizzo a mente e mollai tutto
come l'avevo trovato, le mani tremanti per
l'indignazione. Che fine aveva fatto il tanto
annunciato concorso per l'insegnamento? -
mi chiesi alzandomi dalla sedia. Certo il
mummione incravattato non mi avrebbe aiutato
a scoprirlo, ma non avevo altra scelta che
provare ad interpellarlo.
"Mi scusi" cercai di dire con voce
più naturale possibile, "per caso saprebbe
dirmi a chi dovrei rivolgermi per avere notizie
circa il concorso per l'insegnamento?"
Immobile, quasi imbalsamato, il doppiopetto
stava evidentemente scongelando il cervello
per interpretare quanto gli avevo chiesto.
"Insegnamento...?" balbettò confuso,
come se non riconoscesse la parola come valida
o esistente all'interno del sistema linguistico
dell'italiano.
"Ha presente?" cominciai a spiegare
spazientita, "quella cosa che si fa
dentro quel posto chiamato scuola"
"Scuola?" domandò con fare perplesso.
Poi, come ridestato da una nozione immagazzinata
in un solaio nascosto del cervello e recuperata
casualmente, esclamò trionfante: "Ah,
certo, la scuola! È il nuovo target della
campagna pubblicitaria Benetton!"
"Arrivederci" riuscii a dire col
fiato strozzato in gola. Allontanai i miei
passi da quel luogo melmoso, con la saliva
che ruminava pensieri di rivolta.
L'Aquila, fredda e dura come un macigno sui
denti. Non era stato difficile trovare la
redazione, piazzata proprio in zona centrale.
Entrai nell'edificio azzurro pronta a qualsiasi
cosa, la scatola di fiammiferi ferma in tasca.
Al quinto piano, mura in plastica di un azzurro
spietato s'appiccicavano agli occhi tentando
di bloccarli. Andai dritta verso la porta
principale - quella del direttore - senza
aspettarmi segretarie allarmate che potessero
fermarmi. D'altra parte, di segretarie lì
non ce n'erano: cominciavo a capire che in
quel mondo moltiplicatosi improvvisamente
in pochi giorni, le donne non avevano altro
spazio o altra valenza se non come puttane,
doppiamente schiave perché legalizzate attraverso
l'arma subdola e falsamente libertaria dell'emancipazione.
Beh, io non avevo alcuna intenzione di accettarlo,
e gliel'avrei detto, con le buone e con le
cattive.
Diedi una spallata alla porta e il mio sguardo
si scontrò con la faccia unta e liquefatta
di un immancabile doppiopetto azzurro, stavolta
sfornato direttamente da una palestra di
bodybuilding.
"Lei chi è?" cercò subito d'indagare
con sopracciglia da Gestapo.
"Sono una semplice cittadina che viene
a chiedere spiegazioni circa il contenuto
del vostro sedicente giornale" mitragliai
impaziente.
"Perché" prese a spalancare gli
occhi d'incredulità, "cos'ha che non
va?"
"Non lo vede che non offre neanche un
solo lavoro dignitoso alle donne intelligenti
che intendono trasmettere le proprie conoscenze
alle altre persone?" urlai.
"Ma se è pieno di offerte intelligenti"
scrollò le spalle con una smorfia perplessa,
quasi pensasse di avere a che fare con una
malata di mente.
"La cultura è intelligente, non quella
roba lì" obiettai dura.
"Ma dove vive!" esclamò il gorilla
con derisione. "Lei non deve pensare
alla cultura, deve solo un attimino permettere
alle altre donne di difendere la loro libertà".
"Ma come può una donna credere di essere
libera nel vendere il proprio corpo?"
m'indignai. "È solo un'estrema e aberrante
forma di reificazione escogitata dal sistema"
"Rei..." prese a svuotare le labbra
meccanicamente, "fi...cazione..."
in un annebbiato tentativo di attribuzione
di significato. "Re...i..." continuava
come un pilota automatico, "fica...",
finchè non piombò contro l'unico appiglio
per lui possibile. "Fica! Eh, certo,
proprio di fica stavamo parlando!" sentenziò
soddisfatto.
"Stavo parlando di reificazione"
lo colpii secca. "È un concetto filosofico".
"Concetto...filosofico?" mi squadrò
perplesso, e sviando l'ostacolo prese a dire:
"Mi consenta di criticare il suo isterismo.
Lei dimostra di non conoscere la legge su
cui si fonda il nostro paese. È il primo
emendamento del manuale di Forza Italia,
non l'ha letto?" chiese poi con occhio
opaco, e al mio silenzio fiero proseguì.
"La vita è una terra di compra-vendita.
Se saprai vendere bene la tua merce, permetterai
agli altri di comprare,e dunque di essere
felici. Lei mi sembra un attimino disinformata.
Ognuno sa di possedere una merce preziosa,
e cerca di piazzarla nel miglior modo possibile
per sentirsi gratificato".
"La cultura non è una merce" sbattei
la mia voce contro quell'insulsa immagine
azzurra, pur sapendo che l'eco avrebbe rimbalzato.
"Ma di che si lamenta?" proseguì
quello. "Le donne hanno la fortuna di
possedere la merce migliore mai inventata
per il mercato, e dovrebbero rinunciarci
per non guadagnare fino a garantirsi una
pensione? Guardi, voi donne siete il motore
della storia e dell'economia. Senza di voi,
il mercato non esisterebbe".
I miei fiammiferi ormai ribollivano frenetici,
come il sangue che sbatteva cieco nelle vene.
I sacrifici fatti per prendersi uno straccio
di laurea allora non valgono più nulla in
questo paese, mormorai inavvertitamente a
bassa voce per cercare di far svaporare la
rabbia.
Come un'antenna-spia che t'insegue dappertutto,
il doppiopetto mostrò di aver sentito le
mie parole, illuminandosi di nuovo entusiasmo
idiota.
"Ah, lei è laureata! Allora saprà leggere
e scrivere!" esclamò abominevole, quasi
mi avesse preso per un esemplare della sua
stessa razza - evidentemente nel suo mondo
azzurro di razzista i diplomati erano degli
analfabeti.
"Suvvia, non si scoraggi" si allentò
la cravatta con fare bonario come per consolarmi,
"le case editrici sono continuamente
in cerca di nuovi talenti che sappiano rinnovare
gli orizzonti del porno". Eccitato all'ipotesi
di un nuovo prodotto da lanciare sul mercato,
pensò d'illustrarmi meglio la situazione.
"Il maschio lettore" cominciò a
recitare, "è così stanco delle solite
educande incapaci di farlo eiaculare a dovere.
Lei pensa di esserne capace?" chiese
con sguardo ardente di un fervore al gusto
di marketing a me sconosciuto. "Per
noi sarebbe davvero importante. Non si fa
altro che pubblicare robaccia. L'latro giorno
ad esempio" continuò con gesto schifato,
"pensi che mi è arrivata in redazione
la copia di un testo, per altro già stampato
dalla concorrenza, di un tale...com'è che
si chiamava...dante qualcosa...una specie
di viaggio nell'Inghilterra dell'800, o cose
del genere...Ignobile, gliel'assicuro. No,
guardi, gli uomini non possono assolutamente
perdere tempo ed energia con la scrittura.
Le donne si, le donne sanno come attizzare
le pulsioni giuste dell'Uomo".
Impietrita da quello sproloquio irreale,
e troppo ignobile per essere vero, raccolsi
quanta fermezza avevo nelle ossa per ribattere:
"La lettura serve per migliorare ed
espandere l'intelligenza, non per suscitare
pulsioni elementari"
"La lettura è penetrazione" declamò
quello, "e quindi necessita del suo
adeguato orgasmo. Se non si sente all'altezza"
aggiunse con malizia credendo di offendermi,
"può sempre proporsi come redattrice
dei discorsi ufficiali di Umberto Bossi".
La mia tasca era ormai un incendio: come
appiccarlo addosso a quella realtà così orrenda?
"Nessuno mi obbligherà mai a calpestare
la mia dignità per ottenere un lavoro"
pronunciai calma. "Nessuno".
Il gorilla mi lanciò l'occhiata sarcastica
che il vincitore concede sempre al vinto
prima dell'ultima mossa.
"Vedo che lei è un attimino troppo testarda.
Ma forse non le interessa veramente lavorare.
Le ricordo che il governo concede a tutte
le donne la libertà di rimanere a casa tramite
una pensione fissa di Lire 2.500.000 mensili,
più le spese per i beni di prima necessità,
quali il telefonino e l'abbonamento alla
Champions League".
"Io insegnerò" lo interruppi con
fredda serenità.
"Lei sta scherzando, vero?" obiettò
cominciando a sudare, quasi stessi attentando
alla sua porca vita. "Le scuole sono
un covo di drogati, albanesi e comunisti,
nessuno vorrebbe mai andarci. Ma lo sa che
un insegnante non prende neanche due milioni
al mese? E tutto per imparare ai ragazzini
chi era Indiana Jones!" sospirò in preda
a una crisi di panico.
No, non avrei usato i fiammiferi contro l'ignoranza
patetica di quell'uomo. Sarebbe stato bello
vederlo cancellarsi nell'aria, e con lui
tutte quelle follie fluorescenti da liberista
beota, ma no. Dovevo lottare, e unire la
mia lotta a quella di chiunque altra o altro
non accettasse l'irreversibilità di quel
mondo per creare un incendio vero e compatto,
ma fatto di idee e azioni comuni e non più
di singoli gesti isolati. Le scuole esistevano
ancora, e anche i libri, quelli veri. Potevano
dimezzarmi lo stipendio, ma non la dignità.
Potevano cercare di togliermi la pensione,
ma non l'intelligenza, e con quella avrei
combattuto.
Salda dentro questi pensieri nuovi, gettai
i fiammiferi spenti a terra e me ne andai:
domani, avrei cercato una scuola e delle
persone con cui imparare a resistere.
Sacha Rosel (1974). Poeta e Scrittrice. Ha partecipato
alla Biennale dei Giovani Artisti dell'Europa
e del Mediterraneo, tenutasi a Torino nell'aprile
1997. Da questa esperienza è scaturita l'antologia
"Frutti di mare" (Lindau, 1997)
, in cui è incluso un suo racconto, "Noon".
Ha collaborato con la rivista "Virus"
dell'Arci Nuova Associazione con articoli
riguardanti il cinema, di cui è un'appassionata.
Dal 1998 collabora con la rivista di recensioni
librarie "Leggere Donna" Luciana Tufani Editrice. Lavora in una libreria e si dedica saltuariamente
all'attività di traduttrice. Cultrice di
letteratura inglese, pratica uno sport che
le dà molte soddisfazioni e la scarica delle
tossine superflue: andare in pellegrinaggio
per librerie in ogni città, italiana e straniera.
E', insieme a Mauro Smocovich, creatrice
e curatrice del sito-rivista on-line "i pinguini nel sottoscala - letteratura dell'inquietudine
e dell'imperfezione".