"TOSCANA - delitti e misteri" a
cura di Graziano Braschi - (Carlo Zella Editore)
contiene un racconto di Claudio Pellegrini
Il racconto che pubblichiamo è parte di un
romanzo ancora inedito di Claudio Pellegrini "Le fontane dell'abisso" ed è stato
pubblicato con il titolo "Sollevami
la gonna no?!" su "Bambini Assassini"
(Stampa Alternativa) mancante di 5 capitoli.
Qui appare per la prima volta in versione
integrale.
(i pinguini nel sottoscala)
BUSH DOCTOR
di CLAUDIO PELLEGRINI
CAPITOLO ZERO
... fu come una vibrazione, cupa e profonda
(sotterranea). E d'un tratto le luci della
città si spensero. La notte schiantò sul
mare.
In un silenzio sconvolgente.
In un nulla oscuro e senza appello.
Poi si accese una luce. Laggiù, piccola.
Poi due. Poi tre, quattro, sei, trenta...
poi il Quartiere Latino, poi lo Zen, Marianopoli
e Costa Alta, i Magazzini del Cotone e Le
Saline, la Polveriera Zighermann e Le Cave,
Marmorito e La Pietà... infine San Sebastiano.
La città risplendeva nuovamente, alta sulle
onde, maestosa nelle sue torri, tormentata
nelle sue ciminiere, opulenta nei suoi lungomare,
ardita sulle geometrie frangenti dei suoi
moli.
E il mare era uno sfolgorio di luci.
E tutto sembrò come prima.
Nessuno si accorse che la città stava iniziando
a naufragare.
Lentamente.
Inesorabilmente.
Era un giorno di maggio.
Ma non uno dei tanti.
CAPITOLO PRIMO
<<Vorrei parlare con il signor Ebdòmero>>.
Di prima mattina una telefonata. E mi dava
del "lei" e mi appellava "signore".
Mh, niente di buono. Non era del mio ambiente.
E di sicuro non aveva soldi, me lo sentivo
a pelle. <<Chi le ha dato il mio nome?
E questo numero?>> <<Ecco...
da voci... sì, da voci... è stato una specie
di passa parola... ha presente?>> Certo
che avevo presente, le notizie sbagliate
viaggiano sempre sul passa parola. Conveniva
precisare subito: <<Precisiamo subito,
io sono abbastanza caro, insomma costo abbastanza.
Avete abbastanza grana?>> <<Grana?>>
<<Avete soldi?>> <<Ecco...
credo che varrebbe la pena di parlarne di
persona... sa, è una cosa un po' delicata...
ma pagheremo, stia tranquillo, basterà mettersi
un po' d'accordo...>> Lasciamo perdere
<<Vabbé, lasciamo perdere. Comunque
non posso far nulla perché sono già impegnato,
molto impegnato>>. Pizzicai un capezzolo
a Minù, che si mosse facendo un piccolo mugolìo.
<<Ma, signor Ebdòmero, noi... abbiamo
bisogno di lei, del suo aiuto...>>
Ascoltare quel tizio al telefono era peggio
che leggere un libro di Céline, tutto pieno
di punti di sospensione. Aveva le idee poco
chiare così cercai di aiutarlo: <<Una
mano ve la do... ma non sono mica il solo
a fare questo mestiere. Ecco, chiami... dove
ho messo il numero? ... Dove... e smetti
di succhiarmi l'alluce... no, non dicevo
a lei... ecco! Prenda nota, si chiama Mr&Popper,
vanno forte in città, davvero...>>
CAPITOLO SECONDO
<<Mr&Popper?>> <<Sono
me>>. <<Ah! Ma lei chi è Mr o
Popper?>> <<Io sono Popper, ora
le passo Mr>>.
<<Hallo?>> <<Pronto il
signor Mr?>> <<In persona, con
chi ho il piacere di parlare?>> <<Non
qui al telefono, non qui… sa, è una questione
un po' delicata. Forse il signor Ebdòmero…
insomma le ha anticipato questa mia telefonata>>.
<<No, per niente. Comunque, se vuole
vediamoci>>.
CAPITOLO TERZO
Si videro e l'uomo che aveva chiamato al
telefono disse: << Mi aspettavo di
meglio>>.
<<Cosa ti aspettavi, eh?>> Urlò
Popper avanzando, ma Mr lo trattenne per
una mano dicendo: <<Ha ragione. Ma
vedi come ti presenti?>> Popper fece
un passo indietro come per guardarsi i piedi.
E l'uomo della telefonata guardò Mr&Popper.
C'era uno, lì, davanti a lui, che avrà avuto
poco meno di trent'anni, più lungo che alto,
capelli fosforescenti (rosa-fucsia sotto
e verde chiaro sopra) e la pelle d'un candore
marmoreo. Vestiva con giacca e pantaloni
neri, camicia bianca e cravatta anch'essa
nera. Dalla manica sinistra del giovane spuntava
un ranocchio di pelouche verde con una gran
bocca rossa. Ecco Mr&Popper: il ranocchio
simbiotico con l'uomo, l'anello mancante
fra l'uomo ed il batrace, l'astuzia del cacciatore
d'insetti infilata nella mano dell'ultimo
singulto dell'homo sapiens oppure un ventriloquo
fuori di testa.
<<Oh, Madonna santa...>> sospirò
l'uomo del telefono dopo aver dato una seconda
occhiata all'investigatore (o gli investigatori?)
che voleva assoldare.
<<Perché - riprese Popper - come mi
presento? Ho un bel completo, sobrio e che
m'è costato pure un pacco di soldi...>>
<<Che hai pagato un sacco di soldi,
vorrai dire.- precisò Mr- Non so se ad altri...
lasciamo perdere, comunque il vestito non
c'entra. Ma ti sei guardato? Sei secco rifinito,
pallido e poi, siamo sinceri, quei capelli...
ma chi vuoi che ti prenda sul serio?>>
<< Ah! I miei capelli! E te allora?
Un ranocchio di pelouche che parla dalla
mia mano. Per te questo sarebbe presentarsi
perbene?>> <<Oh, Madonna santa...>>
sospirò ancora l'uomo (che si chiamava Eka).
CAPITOLO QUARTO
<<Scusi, ci andiamo a lavare la mano>>,
avevano detto Mr&Popper dirigendosi verso
il bagno. E lasciando Eka solo. Costui, per
sedare l'ansia da ingaggio e la noia di una
attesa, si era messo a guardare la stanza.
Ma fece presto, perché c'era ben poco su
cui fermare lo sguardo o l'interesse. Un
tavolo in fòrmica più da rigattiere che da
modernariato, due poltrone (diverse) in velluto
liso, il calendario di un ristorante cinese
(anche "a portar via" e pizzeria,
aperto tutti i giorni), una macchina da scrivere
poggiata su una sedia ed un baule con macchine
fotografiche, cineprese e cavi vari, che
sembravano più il bottino di un furto ad
un negozio di ottica che un'attrezzatura
da lavoro. La stanza era piccola, umile,
ma disordinata. L'uomo si sedette su una
delle poltrone ed allungò le gambe, rassegnato.
Appese lo sguardo alla porta del bagno ed
attese. Dietro a quella porta chiusa Mr&Popper
stavano confabulando. << Un altro incarico
da due lire!>> Strillozzò Popper. Mr
cercò di mordergli il naso << Abbassa
la voce, testa a neon, che quello ti sente
e poi se ne va. Non abbiamo poi così tanto
lavoro da poter selezionare la clientela.
Meglio di niente…>> << E poi
non ho capito perché ci voglia prendere per
il culo>>. << Lo sai, il cliente
non dice mai la verità. Per principio>>.
<< Sì, ma quando il cliente rappresenta
anche altri, ti senti anche più preso pel
culo. E poi noi che dovremmo fare? Anche
su questo è stato fumoso. Dovremmo andare
a scoprire se è vero che un vecchietto s'inchiappetta
i loro bimbetti?>>. <<E' un lavoro
per noi>>. <<Va bene, ma il fatto
che Mastino, da quello sbirro rabbioso qual
è, non abbia voluto dare ascolto a quei quattro
fessacchiotti mi lascia perplesso>>.
<< Anche a me, poi scopriremo anche
la ragione. Tanto non abbiamo niente di meglio
da fare…>> << Almeno riuscissimo
ad andarcene da questa merda di città che
affonda…>> sospirò Popper. Poi si appoggiò
alla finestrella accanto al cesso e lasciò
che lo sguardo spaziasse fra le antenne,
oltre le antenne, verso la cattedrale, oltre
la cattedrale, verso le scaglie di luce del
mare (così indifferente alla loro prigionia),
oltre il mare, là dove l'orizzonte sfumava
nella speranza. Infine sorrise, carezzò la
testa al ranocchio e <<Andiamo socio,
c'è da lavorare>>, disse.
CAPITOLO QUINTO
<<Perché... lei non viene?>>
<<No, mi dispiace signor Eka. Non si
offenda, ma vede io ed il mio socio Popper,
siamo come Nero Wolfe ed Archie Goodwin,
ha presente?>> <<Veramente no>>.
<<Vabbé, io non mi muovo mai di casa,
chi si muove è Popper. Insomma io sono la
mente e lui è il braccio>>. <<Oh
Madonna Santa>>. Sospirò ancora l'uomo.
CAPITOLO SESTO
Più che nuvole sembrava un cielo con la vitiligine.
Un principio di tramonto rosa-porco infestato
da irregolari macchie bianche (vaste o punteggiate),
in grado di suscitare più diffidenza che
fascinazione. Ma nessuno, a Marianopoli,
pareva accorgersene. Forse non interessava
più di tanto. L'attenzione, per tutti, era
sempre spostata terra terra, più o meno ad
altezza d'uomo. Perché erano gli uomini il
problema. Sul passato, le loro case cioè,
avevano ormai espresso rassegnazione. Tirate
su in un furore speculativo, cementate nell'abusivismo,
erano un groviglio incoerente di finestre
ed antenne, impilate con l'istintiva convinzione
che, chi ha pochi soldi, debba necessariamente
soffrire. Il che, per un paese cattolicheggiante,
non era male. Quel cemento scadente, quei
mattonacci da due lire, quell'esaltazione
di un nulla morale, quell'asfalto instabile,
quel ribollire di automobili ed immondizia,
quello stagnare di anidride solforosa e sguardi
tristi, quella mancanza di luce, quell'affollarsi
impastato di necessità e noia pareva aver
infettato chi c'abitava, incarognendolo.
A Marianopoli si andava per necessità, altrimenti
non c'era ragione. Popper, invece, lo faceva
per lavoro. E questo gli rendeva leggero
essere lì. Eka era sempre più agitato. <<Mi
stia lontano, mi stia lontano. Faccia finta
di non conoscermi!>> La voce era incrinata
da un principio di attacco isterico. Quando
l'ometto tirò fuori dalla tasca un giornale
e lo spiegò facendo finta di leggerlo, allora
Popper disse <<Oh, Madonna Santa!>>.
E si sedette su un angolo di una panchina
semidivelta.
CAPITOLO SETTIMO
<< E' quello lì. È quello lì! >>
Bisbigliò Eka. Quando Popper si girò l'ometto
era già scomparso. Ma non il vecchio che
gli era stato indicato. Quello se ne stava
beatamente camminando verso una piazzetta
dove al centro era rimasto infisso lo scheletro
di un platano (ignudo, scortecciato, annerito,
pisciato, ribubbolonante di funghi del legno,
scavato dal marciume, scagazzato da corvi
e piccioni). Su un lato c'era un bar, miserrimo.
Forse vedendo in lui un novello Mosé suburbano
la piccola folla si aprì al passaggio del
vecchio (tutti senza girarsi, come per caso),
lasciando libero un corridoio dalla porta
al bancone. Mummiette di ciambelle e cornetti
stinti cercavano di tentare più la pietà
che la gola. Il cameriere si inchinò ossequioso
ad un ordine non espresso e si fiondò a preparare
un caffè dietro la macchina cromata. Il vecchio
con il mignolo alzato, guardandosi un po'
in giro, ghignando. Poi poggiò la tazzina
ed uscì, senza girarsi. Senza pagare. La
piccola folla si richiuse al suo passaggio,
con indifferenza. Tutto tornò come prima.
Nessuno guardò nessuno, le chiacchere continuarono
serene. False.
Era un tortello d'ometto, tondetto, spostato
in avanti di pancia, bassotto e calvo, piccoli
occhi, piccola bocca e piccolo naso. Manuccine
candide, grosso anello d'oro con una pietra
che lanciava riverberi di luce dappertutto.
Certamente la sua non-altezza doveva avergli
fatto fermentare l'anima in una rivalsa crudele,
in un incarognimento espansivo. La felpa
grigia e blu che portava lo faceva sembrare
anche più basso. Sembrava che stesse passeggiando
per casa, se non fosse stato per i mocassini
marroni di morbido capretto. Quello era il
suo territorio, lo si capiva. E lui voleva
che si capisse. Un vigile urbano uscì da
un pizzeria con una teglia di pizza estorta.
Si trovò davanti il vecchio, si fermò e,
con una mezza riverenza, gliela porse. L'uomo
rise, ne sbocconcellò un pezzo filamentoso
con le mani e se la cacciò in bocca. Con
l'altra mano fece un "vai, vai"
al vigile (che si inchinò di nuovo e andò
verso la macchina dove lo aspettavano due
suoi colleghi). L'ometto si pulì la mano
sulla felpa e continuò il suo passeggiare.
Il pizzaiolo fece finta di sorridere.
CAPITOLO OTTAVO
<< E poi?>> Chiese Mr continuando
a guardare la sua collezione di kiccerie
(tutte riunite, oltre la porta bianca, in
una strana stanza, stretta e lunga, incastrata
nella facciata di una chiesa inglobata da
una antica speculazione. In tutte le bifore,
gli archi, le nicchie e gli anfratti era
collocata la collezione di Mr. L'ultimo acquisto
era una gondola in plastica, con decori dorati
e sparpagliati, gondoliere-bambolotto e luci
colorate - come quelle dell'albero di Natale-
per contorno. La gondola poggiava sulla valva
di una conchiglia. Un vero capolavoro). <<
E poi ha bighellonato per tutto il quartiere,
fino all'ora di pranzo. Indi…>> <<
Indi?>> << INDI se ne è andato
verso una via sbarrata da una cancellata.
Ai lati di quella via c'erano telecamere
a circuito chiuso>>. << Ah!>>
<<Di lì non passava nessuno. C'erano
due tizi che mi hanno detto che era meglio
che passassi da un'altra parte>>. <<Erano
armati?>> << Si comportavano
come se lo fossero>>. << Erano
gli Amanita?>> <<Visto il luogo,
direi proprio di sì>>. << Ci
stiamo infilando in una brutta storia>>.
<< Sì, proprio brutta>>. La stanza
ebbe una vibrazione. La lampadina appesa
al lunghissimo filo che scendeva oscillò
sopra loro, quasi a ricordargli il loro futuro.
Nessuno, giù nella strada pareva farci caso.
<< Pensi che dovremmo trovare delle
scatole per la tua collezione?>> Chiese
Popper. Mr scosse la testa verde, aprì la
bocca, come ridendo: << No, non serve.
Questa città non affonderà. La merda rimane
sempre a galla>>.
CAPITOLO NONO
Visto dall'alto pareva una memoria di natura
incistita fra i palazzi della città. Quello
era il parco di Marianopoli. In origine era
stata una pineta, poi una pineta accerchiata
dalle periferia, poi risucchiata, masticata
e rivomitata in forma di ricordo vegetale.
Gli alberi erano stati tostati dal fuoco
di continui incendi. L'erba riarsa e soffocata
da calcinacci, fazzoletti accartocciati,
preservativi, cacate, siringhe, squartamenti
di auto, cani in branco, ragazzi in branco,
puttane nigeriane stravaccate su divani sfondati
e vicini a tutto ciò che la notte aveva abbandonato
durante i suoi misfatti. E c'era un muro
di cemento (che dal nulla partiva e nel nulla
finiva) buono solo per pisciare e per scriverci
sopra. E lì sopra, cavaliere dell'inutilità,
sedeva Popper guardando e riguardando tutto
ciò che intorno a lui accadeva.
CAPITOLO DECIMO
Questa volta il vecchio indossava una nuova
tuta da ginnastica, di Valentino. Anche i
mocassini erano nuovi. L'anello no, quello
era sempre lì a riverberare nello sguardo
altrui. E sorrideva sornione, il tortellino
d'uomo. Era arrivato su di un'auto, un Mercedes
scoperto, giallo banana. Si era fermato vicino
alla pineta e si era messo lì come ad aspettare.
Come elfi apparvero da dietro i tronchi scortecciati
due ragazzini, una piccola lei ed un biondino
lui. Avranno avuto dieci anni. Si somigliavano.
E molto. Arrivarono allo sportello dell'auto
e parlarono con il vecchio. Lui ridacchiando,
li fece girare su se stessi. Annuì con la
testa. Infilò un dito in bocca alla bimba
e disse qualcosa. Lei allargò la bocca, succhiando,
ed il maschietto iniziò a leccare la mano
dell'uomo. Tortellino Amoroso rise, fece
cenno di sì con la testa ed aprì lo sportello.
I due sedettero nello stesso sedile, stringendosi.
L'auto ripartì, tranquillamente.
CAPITOLO UNDICESIMO
Schianta, schiaccia e sibila la piazza. Ribolle
inesausta. Sale, spinge e s'accartoccia.
Ficca, trasuda ed ansima. Rigurgita, insulta
e stenta. Ammorba, assale e rintana.
Poi appare, di slancio da un crocicchio,
un candido levriero e si ferma, nel centro
della piazza
e la piazza si ferma, immobile, trasognata.
Fiuta l'aria, aguzzo, il muso. Si inarca
e balzo si spinge, con slancio arcuato e
poi disteso, avvolto in una fantastica magrezza
e scompare.
E la piazza si trattiene
prima di straripare.
CAPITOLO DODICESIMO
<< Allora?>> la voce di Mr era
quasi annoiata. Stava contemplando un quadro
ologrammato di un Cristo, che si vedeva sorridere
(biondo, nella barba e nella chioma), ma
come uno si spostava di qualche centimetro
appariva lo stesso volto insanguinato, torturato
dalla corona di spine. Icona tridimensionale
di un mai sopito desiderio, tutto cattolico,
di godere il tormento sino all'estasi. Appoggiò
l'ologramma dentro una nicchia di marmo,
quasi un'ogiva un po' annerita dal vuoto
(in quella posizione il Cristo sanguinava).
<< Allora?>> Ripeté un po' innervosito
Mr.
Popper sapeva con quale disgusto il felpato
ranocchio doveva lasciare la sua gotica galleria
di mostruosità kitsch per dedicarsi ai sudori
della vita quotidiana. Cercò di interessarlo
al caso <<Lo chiamano Sparapolli. Il
nome è suo da quando, dieci anni fa, sparò
con un cannone sparapolli al capo dei Pigafetta.
La cosa andò così: la sua famiglia, gli Amanita,
e quella dei Pigafetta si stavano dissanguando
in una guerraccia fatta di sparatorie e imboscate.
Tutti e due i clan volevano controllare Marianopoli.
Ad un certo punto il nostro amico propose
un incontro, in un terreno neutrale, per
discutere un eventuale accomodamento, un
armistizio insomma. Furono gli agenti del
Mastino a perquisire tutti i convenuti all'ingresso
di un hangar che di giorno serviva a fare
test per cristalli d'aereo. Quando Mastino
ed i suoi agenti se ne andarono iniziò il
chiarimento. Per entrare subito nel vivo
dei problemi il nostro amico caricò lo sparapolli
che era lì (un cannoncino che serve a similare
l'impatto dei volatili contro gli aeroplani),
con una morta ovaiola livornese, lo puntò
contro Torrino, il capo dei Pigafetta e pigiò
il chiodo. Un botto. Tutti videro Torrino
steso sotto una parete, una gran macchia
rossa nel petto, due zampette di pollo gli
sbucavano proprio da lì. E sangue dappertutto.
Novello Ulisse, il nostro amico caricò ancora
ad ovaiole il cannoncino e sparò su luogotenenti
e pretoriani dei Pigafetta. Fu una strage,
un mattatoio, un frullato di occhi, becchi,
creste, catene d'oro e culi di gallina come
stimmate nei costati. Il resto lo fecero
gli uomini Amanita con le mani. E così fu
risolto il problema della divisione di Marianopoli.
Sparapolli ci guadagnò un regno ed un nome
di battaglia. Con lui la famiglia s'arricchì
nel mercato delle armi, nello strozzinaggio
e poi nel traffico di cocaina. Soldi a palate
per tutti. Poi, un bel giorno, Sparapolli
convocò tutti gli Amanita, si accese un sigaro,
e disse: <<Io sono arrivato fino a
qui e ora passo la mano. Ora ho voglia di
divertirmi. Continuate voi!>> E davvero
non ne volle più sapere di occuparsi degli
affari. Si dedicò, anima e corpo, ai buchi
stretti dei ragazzini e delle ragazzine.
Naturalmente quando è necessario, quando
c'è da prendere qualche decisione importante,
la sua voce è ancora quella determinante.
Nessuno, naturalmente, ha avuto mai nulla
da ridire sul suo modo di divertirsi. Sparapolli
non ha nemici, non più>>. Mr&Popper
si guardarono. << La cosa richiede
una bella riflessione. Cosa abbiamo di buono
per cena?>> Chiese Mr. Popper sorrise
raggiante: <<Cibreo!>> Disse.
Divagazione dell'Io Narrante
Cibreo. La prima volta che sentii questa
parola fu come nome di un ristorante. Era
una calda notte d'estate. Tanti, tanti anni
fa. Eravamo giovani, potevamo scialare la
vita senza rimpianti. Non c'era azzardo,
non c'era paura e potevamo ungerci i muscoli
prima della lotta. Nulla avrebbe retto al
nostro assalto, tantomeno un mondo ingiusto.
Era una notte di tanti anni fa e Piazza Santo
Spirito si apriva magnifica davanti a noi.
Cibreo. "Ho cucinato per te", mi
disse. Ma con una strana voce. Fu lei a raccontarmi
quel piatto, mentre apparecchiava per due,
fu lei a divagare su quella ricetta da nobile
di campagna, su quel nome così esotico e
misterioso, su quegli ingredienti così semplici
e su quella preparazione così sofisticata.
Sorrise, scoprendo la pentola di coccio.
Spostai la sua giacca di fustagno e mi sedetti.
La notte si caricava di profumi intorno a
noi.
La mattina dopo mi svegliò "Ora devi
andare", mi disse. C'erano troppe persone
care che ci univano. Troppe
Cibreo. Ricordo altre cucine, l'odore schietto
dell'inverno disteso nella campagna, la notte,
la neve che mulinellava nel cerchio della
luce, la stufa caricata, il caminetto acceso,
l'allegria con cui aggredivamo la nostra
aristocratica povertà. Ed il nitrito della
cavalla, là nella stalla. Una capretta le
faceva compagnia. Non c'era motivo di essere
tristi.
Cibreo. Si fa soffriggendo nel burro un po'
di cipolla, aggiungendo creste sbollentate
e fegatini di pollo. Prima ci mettevano anche
le palline, del pollo. Si fa cuocere aggiungendo
brodo caldo. Quando il tutto è ben cotto
si amalgama un uovo sbattuto (uno a testa)
con un po' di succo di limone e si lascia
ritirare.
Cibreo. Cucina povera? Ma se era il piatto
preferito di Caterina de' Medici.
Cibreo. Cucinare e scrivere libri gialli,
in fondo, le due cose, si somigliano. In
ambedue si usano corpi morti come base, ma
ingentiliti, resi piacevoli da spezie o trame.
Sono sempre la fantasia e la cura a rendere
gustoso il tutto. Lo squartamento deve essere
occultato con i toni dell'originalità. Se
si è capaci di meravigliare nel successo
si può sperare.
Cibreo. Esisterà un'arte culinaria degli
antropofagi?
CAPITOLO TREDICESIMO
<< Allora?>> ripeté Mr. La voce
era quasi annoiata. Eka stava piangendo come
una vite tagliata. Aveva visto suo figlio
scendere dal Mercedes giallo banana. Era
rimasto nascosto dietro un albero a guardare.
Suo figlio aveva appoggiato un bacio sulla
bocca di Sparapolli e se ne era andato. Il
vecchio era rimasto a guardarlo fino a che
il bimbo era entrato nella pineta, poi sorridendo
aveva messo in moto ed era partito. Lentamente.
Si era girato ancora una volta a guardare.
Dopo Eka era uscito da dietro l'albero ed
aveva preso il figlio per il braccio chiedendo
spiegazioni. E Ekino si era liberato con
uno strattone e l'aveva guardato dritto negli
occhi, quasi con sfida. << Lasciami
stare!>> Gli aveva detto. E ora il
povero genitore stava piangendo. Disperatamente.
Da tempo. Mr&Popper si guardavano ogni
tanto con evidente imbarazzo. Eka aveva rincorso
il figlio. Questi si era girato guardandolo
ancora fisso nelle palle degli occhi <<Cosa
cazzo vuoi?>> Gli aveva digrignato
<<Smettila subito o lo dico…>>
e con la mano aveva indicato vagamente la
curva dietro la quale era sparito il Mercedes
giallo banana. E ora Eka aveva paura a tornare
a casa. Mr&Popper si chiusero nuovamente
in bagno. Lavandosi la mano Popper disse:
<<Basta! E' arrivato il momento di
chiudere questa situazione>>. <<Sì,
socio, hai ragione. Dobbiamo intervenire>>.
<< ? >> <<A mali estremi,
estremi rimedi>> Gracidò Mr (gracidava
solo quando era indignato). <<… vuoi
dire…. ?>> <<Esattamente, socio>>.
<<Oh, mio Dio!>>
CAPITOLO QUATTORDICESIMO
Interno notte. Buio totale. Stanza da letto.
Voce di Popper: <<Nessun'altra alternativa?>>.
Voce di Mr: <<A cosa? >> <<Ad
utilizzare…insomma sai chi>>. <<Non
possiamo fare diversamente>>. <<No?>>
<<No!>> <<Potremmo sparargli>>.
<<Troppo poco>> <<Potremmo
avvelenarlo>>. <<Troppo poco>>
<<Potremmo infettarlo e fargli venire
il tetano o la cancrena>>. <<Troppo
poco>>. Silenzio. <<Ho capito,
va bene, domani andrò a Polveriera Zighermann
>>. La voce di Popper era incrinata
dal timore.
Silenzio.
Buio.
Esterno notte.
Alta la luna si isola nel cielo, lontana
dai pinnacoli pietrosi della cattedrale,
lontana dal brillio del mare che entra nelle
case, lontana dal rinsecchirsi degli alberi
alle acque salse, lontana dalle carcasse
della auto sbranate dai ladri, lontano dalle
macchie scure di sangue nelle arene dei cani.
Lontana da tutto, lontana da tutti.
CAPITOLO QUINDICESIMO
Candida Erèndira viveva al quarto piano del
palazzo. Da lassù non era più scesa da almeno
vent'anni. Non scese nemmeno quando il palazzo
sprofondò dritto dritto su se stesso. Quasi
due piani sparirono, poi si fermò. I mobili
furono fatti uscire dalle finestre, calati
con funi ed argani. Nessuno si fidava di
rimanere fra quelle mura. Nessuno tranne
Erèndira. E le sue nipoti, naturalmente.
<<E' solo un po' più basso, ma per
il resto va bene>>, diceva ridendo
con la sua risata grassa. Le sue nipoti non
dicevano nulla, come sempre. E così rimasero
solo loro, lassù, all'ultimo piano del palazzo.
Nelle notti d'inverno il vento si avventava
selvaggio su per le scale, fischiando fra
le porte aperte, fra le statue di putti trombettieri,
grattando gli stucchi fino a farli cadere,
sfumando l'allegria degli affreschi barocchi.
Le cantine del palazzo erano diventate grotte
sottomarine (immense, arcuate, silenziose
di notte liquida). La pressione dell'acqua
aveva sfondato i coperchi dei tombini e da
quei pozzi del nulla erano risaliti strane
forme allungate, con dei tentacoli luminescenti,
dondolanti davanti a bocche larghe e ferocemente
armate di denti. Nuotavano fra slarghi, cunicoli,
grottosità di immense caldaie, anfratti,
tavernette, carbonaie, nicchie e fessure.
Spesso si avventavano l'uno contro l'altro
in grovigli feroci. Allora rimaneva sospesa
nell'acqua una vaga luminosità perlacea.
Ma su, all'ultimo piano, tutto continuava
come prima.
CAPITOLO SEDICESIMO
La stanza dove giaceva Candida Erèndira era
molto, molto grande. Una specie di piazza
d'armi illuminata da grandi finestroni che
si alzavano vertiginosi verso un soffitto
distante come il cielo. Qualcuno diceva che
lassù volassero uccelli e si muovessero fiocchi
di nuvole, ma certamente erano bugie di qualche
marinaio argentino. Ed al centro c'era quel
mastodontico letto in ferro, marmo, legno
e lana. L'avevano costruito direttamente
in quella stanza su indicazioni di Erèndira.
Ci lavorarono in una dozzina fra falegnami,
fabbri, intarsiatori, cardatori, materassai,
scalpellini, tessitori e musici (perché ad
Erèndira non piaceva il silenzio), per due
settimane. Alla fine tutti insieme abbracciarono
la loro opera dove sopra troneggiava come
un castello la Candida Erèndira (vestita
con morbidi teli di seta bianca). Bevvero
e mangiarono, festeggiarono tutti insieme
per due giorni e tre notti. Ed Erèndira offrì
le sue nipoti. Su quel letto la Candida Erèndira
si ergeva immensa come una balena bianca
tirata all'asciutto. La sua grassosità era
pari solamente alla sua grandezza. Dalle
sue visceralità saliva un vocione orchesco
che passava a malapena da una boccuccia sempre
dipinta di rosso. Da quel letto non era mai
più scesa dal giorno della sua costruzione
lo usava come triclinio, come letto, come
torre di osservazione, come ponte di comando.
C'era uno strano odore nell'aria, era quello
del latte d'asina che Erèndira si faceva
picchiettare in continuazione sulla pelle,
con un batuffolo di ovatta, da una magrissima
negrettina. Lo faceva per mantenere il colore
perlaceo della sua pelle. La neretta serviva
ad accentuare, per contrasto, quel suo candore.
Era l'ultima civetteria che le era rimasta.
Popper le si fece d'innanzi. <<Candida
Erèndira, avrei bisogno… avrei bisogno di
Giuditta>>. La statua carnascialesca
di donna si appoggiò su un'ansa di gomito
per essere più vicino a quel giunco d'uomo:
<<A sì? Popper questa è la tua richiesta,
ora prova a convincermi. Con le buone, naturalmente,
sono una signora…>> Popper sorrise,
annuì con la testa così velocemente che mischiò,
all'occhio, il colore dei capelli, fino a
portarli ad un verde-coleottero-metallizzato.
Poi allungò un braccio sospingendo verso
lei una valigia di cartone. Erèndira alzò
un sopracciglio vasto come uno zerbino: <<Mi
offri così tanti soldi? Mh, deve essere un
affare ben importante…>> <<Non
sono soldi, c'è di meglio là dentro>>.
<<Oppio?>> Chiese la gigantessa
prendendo la valigia nella sua mano. <<Di
meglio, mia cara, di meglio>>. Erèndira
cinguettò per la curiosità, indagò con gli
occhi, poi, non reggendo ulteriormente, con
un colpetto del mignolo la scoperchiò. E
lanciò un urlo di gioia che fece tremare
i vetri, i pavimenti e le trombe dei putti
trombettieri: <<Formaggio con i vermi!!
FORMAGGIO CON I VERMI!!!>> Introvabile
formaggio con i vermi, rarissimo più del
tartufo, più sconvolgente di un vino muffito,
impensabile fossile alimentare del palato
medievale, succulenza destinata ai pastori
più fauneschi o ai gourmet più raffinati:
un brulichio di larve nutrite a cacio, avvoltolate
nel cacio fatto maturare dalle loro digestioni,
ossidato dal loro scavare. Erèndira trasse
a sé la prima larva con l'unghia del mignolo
e se la portò sulle labbra. E la aspirò suggendola.
E su quell'atomo di sapore schioccò la lingua
pregustando una gioia senza possibilità di
ripetizione. <<E Giuditta? >>
Chiese Popper. L'occhio tondo da balena di
Erèndira vagava per i cieli del piacere,
parve risvegliarsi e guardò giù, verso terra.
Rivide quell'omuncolo dai capelli colorati…
allora sorrise ancora trasognata e sfarfallò
una mano verso l'ultima porta: <<E'
là, prendila pure>>.
CAPITOLO DICIASSETESIMO
Il Mercedes giallo-banana era fermo. Fermo
e con i fari accesi nella notte. Di Sparapolli
si vedeva solo la brace accesa del sigaro.
I fari illuminavano il muro di cemento della
pineta. Uno pseudo-palcoscenico. L'illuminazione
la metteva lui, Sparapolli, cioè. Gli attori
erano pazienti, sfilavano uno alla volta.
Erano tutti piccoli, non più di tredici anni.
Non dovevano fare molto, solo entrare nel
cerchio della luce, alzare le braccia, aprire
la bocca muovendo la lingua, girarsi e poi
uscire dall'altra parte. Per lasciare il
posto al successivo. Bimbi e bimbe, indifferentemente.
Politically correct. La brace del sigaro
si accese due volte di seguito. Al centro
dei fari c'era una bambina esangue, minuta,
i capelli biondi e lisci, tagliati a caschetto.
Pareva caduta dal letto in quel momento:
la faccia spaventata (quasi stupita), una
grande canotta a farle da camicia da notte,
un orsacchiotto appeso alla mano, i piedi
nudi. La costumista (sua madre) era evidentemente
esperta di psicologia maschile. Sparapolli
dette un piccolo colpo con gli abbaglianti.
Soffice mormorio di delusione. Gli altri
attori sparirono nel buio. Rimase solo lei,
al centro della luce. La faccina spaventata.
CAPITOLO DICIOTTESIMO
Il cielo era compatto di nuvole scure. Incombenti.
Ma la pioggia non cadeva. Poi iniziarono
ad abbassarsi, sempre più. Schiacciarono
il mondo con il loro tumulto basso, claustrofobico.
Ma la pioggia non cadeva. Le nuvole coprivano
l'orizzonte, i tetti dei campanili, le antenne
televisive. Ad un tratto iniziò come un lento
movimento circolare delle nubi, si formò
un vortice con l'ombelico nero. Quel gorgo
si avvolgeva sempre sullo stesso punto (silenzioso,
quasi inesorabile). Sopra il parco de La
Sella del Diavolo (nera torre arsa, franata,
sostenuta nei secoli da una innaturale caparbietà
antigravitazionale). Sparapolli guardò quel
vortice. Non aveva mai visto nulla di simile.
Pareva vicino. Sterzò. Nessuno camminava
fra quell'erba riarsa, fra quegli sterpi
ostili, fra quegli alberi tormentati dai
funghi. Nessuno c'era, tranne una bambina
ferma quasi al centro del parco, come se
fosse sotto al vortice (che lì pareva avvitarsi).
Era vestita completamente di bianco, uno
strano abito di trine. Guardò l'uomo e tese
le braccine verso di lui. Sparapolli fermò
il Mecedes giallo banana. Le nuvole parevano
toccare la punta degli alberi. Un raggio
di sole s'incolonnò sulla bimba. E risplendeva
(bianca la pelle di bianco vestita). Agitò
ancora le braccine. Sparapolli scese e lentamente
iniziò a camminare verso di lei. Si avvicinò.
La piccola vestiva un abitino da Prima Comunione.
Le mani erano nascoste da guanti di trina
bianca. Avrà avuto dodici anni, piccola,
di una magrezza tutta adolescenziale, pelle
bianchissima (diafana, marmorea, setosa)(sfumate
lentiggini rendevano impertinente tanto biancore).
I capelli erano corti e neri, l'ovale del
volto esaltava le lunga sopracciglia, i grandi
occhi scuri con un leggero strabismo. Aveva
una vaga aria distratta. Più che distratta
pareva che faticasse un po' a capire. Un
leggero ritardo, come uno scarto di tempo
nel comprendere. <<I guanti!>>
Gridò la bambina tendendogli le manine inguainate.
Sparapolli li guardò e balbettò:<<Sì…
belli, belli davvero.>>. Lei tese ancora
le manine <<I guanti!!>>. Lui
la guardò ancora: <<Sì, li ho visti.
Belli, complimenti, carina>>. La piccola
batté un piedino per terra, stizzita: <<Mi
scappa la pipì! Non posso farla, ho i guanti>>.
E gli agitò le manine trinate. <<Beh?….>>
Sparapolli non era riuscito a proferire nulla
di meglio. <<Allora aiutami a fare
la pipì!>> Il tono era perentorio (e
batté ancora il piedino, spazientita). Sparapolli
(sorpreso) si alzò un attimo in tutta la
propria bassezza, si guardò intorno e poi
posò lo sguardo nuovamente sulla bambina:
<<… e come?>> domandò. La piccola
abbassò le mani a pugno verso terra e protese
il faccino verso di lui, strillando: <<Ma
allora sei scemo! Mi prendi come nell'altalena
e mi alzi la gonna, sennò la sporco>>.
<<… ad altalena?…>> <<Sì,
così>>. Disse la piccola e si girò
di schiena verso l'uomo, poi si accucciò
un poco. L'uomo la guardò perplesso. <<Cosa
aspetti?>> Chiese la piccola. <<Che
devo fare?>> <<Sollevami la gonna
no?!>> Sparapolli si guardò intorno,
a disagio. Erano nel centro di quel parco
morente (spennato e spelacchiato), lì era
al centro dell'attenzione di tutti. Ma nessuno
c'era. Così Sparapolli si abbassò sulla bimba
e le sollevò la gonna candida e trinata (delicatamente,
lentamente). Aveva gambe magre, molto magre.
Ed un culetto impertinente (sodo, a mandolino,
coperto con vaste mutande da ragazzo). Sparapolli
si sentì gonfiare la patta (d'un balzo feroce,
doloroso). <<Ora metti le mani a seggiolina
del cardinale>> Sparapolli non conosceva,
però intuì, unì le mani (tenendo la gonna
alzata con le braccia ad "o") sotto
le coscine di lei. <<Ma che scemo sei,
prima devi abbassarmi le mutandine, sennò
me la faccio addosso!>> <<Già,
già>> balbettò l'uomo (sentiva l'odore
della bambina sotto le sue nari) (un po'
dolce, un po' selvatico) (un po' leggero,
un po' sfacciato). Tenendo sollevata la gonna
(aiutandosi con avambracci e gomiti) ("ma
quanta trina…!") infilò le dita nei
lati della mutandina. Quella scese dopo una
leggera resistenza sul culetto rotondo. (Doloroso,
doloroso gonfiore). Scoprì la fichetta nuda
(candida, glabra, incredibilmente gonfia
per la sua età) passò gli avambracci sotto
le coscette e la sollevò da terra. Rimase
come accucciata a mezz'aria <<Bravo>>
disse <<hai capito>>. Diventò
rossa nelle guance per lo sforzo e uno zampillo
dorato si arcuò verso terra (dorato, netto).
Sparapolli sentì lo scroscio, guardò la gittata
(sentì l'odore dolce di bambina ma già pepato
di ormoni) (sessuali, sessuali) (dolorosa,
l'erezione) (devastante), fino a vederla
scemare e sgocciolare. <<Che aspetti?>>
<<…eh?>> <<Che fai, dormi?>>
<<Perché?>> <<Non m'asciughi?>>
<<… cosa?>> <<Ma la topina!
Chissà cosa, sennò?>> <<…e… come?>>
<<Col fazzoletto, colla camicia, eccheneso
io? 'sciuga!>> Sparapolli era rosso,
piegato, ma non per la fatica. La tenne sollevata
usando solamente un braccio e con l'altro
(usando più che altro la mano) si cavò di
tasca il fazzoletto. Con un colpo di polso
lo stese, lo piegò a batuffolo e lo passò
sulla sua passerina. La bimba si morse leggermente
il labbro inferiore (bianchi dentini d'avorio…)
(piccola bocca carnosa) (sensuale, sensuale)
e guardò l'uomo. Il suo sguardo era strano,
come divertito (come eccitato) (come esperto).
Sparapolli crollò sulle ginocchia piegato
dall'erezione. La piccola fece un saltello
per toccare terra, si tirò su le mutandine
e <<Ciao!>> Disse. E se ne andò
correndo via. Sollevando leggermente la gonna
bianca a trine (le gambine magre sotto la
gonna del vestito da Comunione).
E sparì.
Sparapolli rimase inginocchiato.
Solo nel parco.
Ed iniziò a piovere.
CAPITOLO DICIANNOVESIMO
Quella sera il Mercedes giallo banana non
andò al muretto.
CAPITOLO VENTESIMO
E neanche la sera dopo, né quella dopo ancora.
CAPITOLO VENTUNESIMO
Il Mercedes giallo-banana ormai girava tutto
il pomeriggio, piano piano, intorno al parco
de La Sedia del Diavolo. Sparapolli ci andava
anche a piedi. Andava sempre nello stesso
punto, si chinava, toccava la terra con le
dita, ne raccoglieva come un pizzico e l'annusava.
E lì, spesso, rimaneva fino a notte.
Qualcuno disse di averlo sentito piangere.
Solo, nel buio, nel parco.
CAPITOLO VENTIDUESIMO
Nessuno vide mai gli occhi di Sparapolli
bagnati di lacrime. Nessuno li vide nemmeno
il giorno (tantissimo tempo prima) in cui
scoprì di non avere più la casa. Aveva compiuto
dodici anni da pochi giorni. Erano stati
letteralmente buttati fuori da una specie
di ufficiale giudiziario armato. Quell'uomo
aveva gettato il materasso dalla finestra
(giù nei rigagnoli d'acqua nera) e si era
tenuto i mobili chiudendosi la porta alle
spalle. Non avevano più i soldi da quando
suo padre era sparito. Fuggito con una spogliarellista
rumena, secondo alcuni. Sciolto nell'acido,
secondo altri. La situazione si era aggravata
quando era sparito anche suo fratello ("Forse
fuggito anche lui con una ballerina rumena",
disse qualcuno ghignando). Sua madre era
una donna forte, tutti quei rovesci, però,
l'avevano come ingobbita. Ma anche lei era
una che non piangeva mai. "Non ti preoccupare,
mamma, ci penso io", le disse. Era arrivato
il momento di pensare alla famiglia, il suo
momento. La sera andò sui viali est di Marianopoli
(chiamati "L'anoteca"), dove battevano
travestiti e mignotte. Affrontò Nano Crudele.
Lui era armato di rasoio, Sparapolli (all'epoca
conosciuto come Tigrillo) aveva in mano un
mattone. Gli bastò. Si prese le donne di
Nano Crudele ed il suo territorio (aveva
vecchie bagasce, ma buone per iniziare un'attività).
Due giorni dopo si riprese anche la sua vecchia
casa. E ci rimise dentro la mamma.
Quella notte, quando sua madre andò a chiudere
le tapparelle, vide bagliori di fulmini verso
il mare.
Sei mesi dopo qualcuno trovò quella specie
di ufficiale giudiziario infisso in una discarica,
con la testa spappolata a colpi di mattone.
CAPITOLO VENTITRESIMO
Quando nipoti, zii e cugini si resero conto
dell'afflizione che tormentava il vecchio
Sparapolli, se ne dolsero e fortemente preoccuparono.
Più volte, per più giorni, si aggregarono
in piccoli o grandi gruppi per ragionare
sul da farsi. Ben poco venne fuori perché
nulla, sulla propria doglianza, espresse
mai Sparapolli. E così, nonostante quel fitto
parlare, nessuna soluzione venne a conforto
del loro arrovellamento.
Tentarono, così, di andare sul sicuro facendo
arrivare bambini e bambine da tutta Marianopoli.
Il numero lo avrebbe distratto dal suo illanguidimento.
Il numero non lo distrasse dal suo illanguidimento.
A braccia gli portarono una vergine di otto
anni.
A braccia la riportarono giù per le scale,
intatta.
Gli montarono una giostra nel giardino, che
girava con la musica di un organetto meccanico,
e nudi bambini e nude bambine ridevano cercando
di rimanere in equilibrio su dondolanti cavallini
di legno. Era tutto un mulinellare di boccoli
biondi, di chiappine, di legni pitturati,
di specchietti, di fichine e pisellini. Sparapolli
guardò, spiccò, dalla pianta, un fiore di
gardenia, lo annusò e richiuse le imposte.
Sorridendo tristemente.
CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO
La stanza di Mr era sempre piena di farfalle.
Vivono lì, al calduccio tutto l'anno, libere
di svolazzare in quello spazio, di posarsi
sulle tende, di fermarsi sul soffitto (ma
anche sulle pareti, sul pavimento), di nascondersi
nella pianta di Beniamino (al centro della
stanza), di succhiare acqua e zucchero da
buchetti messi in pitture di fiori. Ma c'erano
anche fette di arance e cracker bagnati,
posate su una mensola, perché alcune farfalle
succhiavano quelle cose lì. Era tutto uno
svolazzìo, un tremolìo di alucce arancioni,
bianche, gialline, color cenere, un muoversi
leggero inavvertibile, fitto nell'aria. Naturalmente
si posavano anche sul lettuccio di Mr (che
era piccolo come la cuccia di un gatto) (e
per la verità tale era) e, la mattina presto,
anche su Mr stesso. A lui (a Mr, cioé) piaceva
così; amava aprire gli occhi, guardare in
alto e vedere quello sfarfallio brulicante,
quella summa di vita naturale, quella provocazione
aerea all'invasione marina. "Quando
questo cazzo di città affonderà del tutto,
io aprirò la finestra e mi divertirò a guardarle
volare via, fuggire libere nell'aria. Mi
divertirò ad abbellire il mondo con i loro
colori". Intanto, in attesa di quel
giorno, le teneva in camera, le nutriva con
cura, le coccolava e si beava di loro. La
stanza di Mr era l'ultima in fondo alla casa.
La più protetta. Prima c'era quella di Popper.
Sembrava un'officina. Ruote di bicicletta
appese al soffitto, cestelli di lavastoviglie
usati come sedie, colapasta a mo' di plafoniere,
scaffalature metalliche per i libri, macchine
fotografiche appese ad un attaccapanni industriale,
parrucche colorate appese a bielle lucidate
e, soprattutto, in fondo alla stanza Il Grande
Coniglio. Il suo vecchio costume da lavoro.
Il suo primo lavoro. L'aveva assunto una
strana società di recupero crediti. L'aveva
fondata un ex hippy che credeva che la fantasia
potesse battere la violenza. Così Popper,
quando qualcuno non pagava, doveva vestire
quel costume da Grande Coniglio color rosa
acceso (sì, con tanto di orecchie belle alte
e fiere, nasone nero, dentoni di stoffa e
puf sul culo) e aspettare l'insolvente sotto
casa. Poi, come questo usciva, gli si metteva
accanto con in mano un cartello ("Ha
fatto assegni scoperti") e lì accanto
gli rimaneva tutta la giornata e quella successiva
ancora, e quella dopo ancora e ancora e poi
ancora fino a quando quello non pagava. Specie
i primi tempi funzionava. C'era chi faceva
finta di nulla, chi rideva (all'inizio) e
chi si incazzava subito. Il costume attutiva
molto i colpi, era ben imbottito. In genere
smettevano subito, perché picchiare per strada
un coniglio rosa che si dimena ed urla, non
è certo un'azione che lasciasse larghi margine
di consenso. Poi la città iniziò ad affondare
e tutti cambiarono. In peggio, naturalmente.
Si incarognirono dentro, un pus dell'anima.
E ci fu chi iniziò a sparare. Era arrivato
il momento di cambiare mestiere. Popper lo
pensò mentre era all'ospedale. In fondo si
era fatto una bella esperienza dell'animo
umano, del modo di cercare le persone senza
dare troppo nell'occhio (prima di conigliare
qualcuno doveva ovviamente individuarlo,
faceva parte del lavoro). Poi incontrò Mr
e fondarono la loro società. Il braccio e
la mente. La potenza e l'astuzia, la mente
speculativa e l'ombra che fruga la città…
più o meno questo scrisse nel depliant illustrativo.
Solo che poi non ebbero i soldi per farlo
stampare. Si adattarono ai primi lavori.
E la gavetta è sempre dura e povera di soddisfazioni.
Ancora non c'era l'alba e Popper felice si
rigirò nel letto. Fuori la città era in uno
stato sospeso, in un fascio di attimi che
aveva diviso il popolo della notte da quello
del giorno. Tutti e due facevano del male,
ma in orari diversi. In quel momento, però,
non c'era nessuno. E la città deserta, per
un attimo sorrise al mondo.
CAPITOLO VENTICINQUESIMO
Esterno notte. Un fiorino si ferma davanti
al cancello della villa. Non c'è nessuna
targa nel campanello, ma a Marianopoli tutti
sanno che ci abitano gli Amanita. Un'ombra
scende e rapida apre le porte posteriori
del furgoncino. Tira fuori come un tubo,
l'uomo lo allunga. Si mostra, per un attimo,
nella luce del lampione: è un bazooka. L'ombra
solleva il sistema di puntamento, inquadra
il cancello della villa (o la villa oltre
il cancello). Una fiammata e il razzo saetta
verso la villa (o il cancello). E qualcosa
esplode in una palla di luce. In un boato
di schegge.
CAPITOLO VENTISEIESIMO
<<Che dobbiamo fare zio? Che dobbiamo
fare?>> La voce era rotta dalla foga,
l'aria puzzava di paura. Sparapolli li guardò
e sorrise. Distante nei pensieri, distante
nel tempo.
CAPITOLO VENTISETTESIMO
Dall'alto parve quasi bella. L'esplosione
bianca svanì nel giallo e poi nel rosso.
E poi in altri bianchi e gialli e rossi delle
auto che esplodevano in successione. Le fiamme
salivano mescolandosi alla notte, fondendola
in riflessi di luce sulle facciate dei palazzi,
sui detriti scagliati. Ardevano le auto dei
Pigafetta (contorte, piegate, atterrate)
illuminando le loro case, i portoni sfondati,
le orbite nere delle finestre, le terrazze
sbrecciate. La vendetta degli Amanita non
si era fatta attendere.
CAPITOLO VENTOTTESIMO
<<Abbiamo fatto bene zio eh? Abbiamo
fatto bene?>> <<Gli abbiamo aperto
il culo, zio>> Le parole erano scheggiate
dalla coca (esasperate, eccitate, svincolate
dai pensieri). Ma la porta rimase chiusa,
indifferente.
CAPITOLO VENTINOVESIMO
<< No, cazzo, no! Non è così! No, non
è lei quella!!>> Disse "quella"
indicando il foglio disegnato appuntato sul
cavalletto. La voce di Sparapolli era appuntita
dall'ira. Gli occhi strabuzzati, rossi per
le notti bianche. Pittore dondolava, sull'orlo
di uno svenimento da paura. Tentò di balbettare:
<<…ma io sono stato allievo di Annigoni…>>
<<E chi cazzo se ne frega di 'sto stracazzo
Dannigoni!>> <<…il ritrattista
delle regine…>> <<Ma ficcatele
in culo, le regine, stronzo!>> Gli
piantò due dita sulla carotide, (dure come
scalpelli). Pittore era più alto (molto più
alto) di Sparapolli, ma cercò di piegarsi,
di contorcersi, di arcuarsi fino a risultare
più basso di lui (molto più basso). <<Pittore
di 'sta cippa di cazzo, prendi le tue matitine
e rimettiti a disegnare. Voglio lei>>.
La voce era listata a lutto. Pittore iniziò
a rialzarsi, ad ergersi in tutta la propria
altezza, impugnò il carboncino e si rimise
a sedere davanti al cavalletto. Piangeva
quasi, ma provò a sorridere. In una smorfia
esangue, scoprendo denti asciutti (lingua
secca, lingua secca) riuscì a dire: <<Bene,
vediamo un po' di farla più somigliante…>>
<<Ti conviene, rottinculo>>,
disse tirando fuori la sua Smith & Wesson
e puntandogliela alla tempia. Era troppo.
Pittore crollò dalla paura, si afflosciò
a terra tremando e piangendo. Ed era troppo
anche per Sparapolli che iniziò a tirargli
calci nella schiena, nello stomaco e dove
capitava urlando <<Alzati, figlio di
una bocchinara! Alzati!!>> Le esortazioni
verbali sennonché quelle fisiche prima fecero
urlare e strepitare Pittore, poi gli fecero
capire che meno doloroso sarebbe stato, per
lui, accontentare il cliente. <<Che
succede là dentro?>> Urlò qualcuno
da dietro la porta, bussando con vigore.
Sparapolli sparò una rivolverata sull'uscio
e << Fatti i cazzi tuoi!>> ringhiò.
Di là si fece subito silenzio (forse fuggito,
forse centrato). Pittore si alzò, si pulì
un po' dal sangue e sorridendo (disfatto),
disse: <<Dove eravamo rimasti?>>
Dovette cambiare il foglio, piccoli spruzzi
di sangue l'avevan macchiato. Sparapolli
dirigeva indicando le cose con la canna della
pistola <<No, la faccia… la forma…
no, non è quella. La sua è più da bimba,
te l'ho detto>>. <<…è più affilato?>>
<<Ma ne so 'na sega, più magro… ecco
ora va meglio… sì, iniziamo ad esserci, sì…
i capelli sono scuri… più corti… scuri… ah,
quello lo fai dopo?…Vabbé…sono mossi, scaruffati…
sì, spettinati… come se fosse stata al vento…sì,
al vento… fino a un attimo prima…no, gli
occhi sono più grandi… scuri, sì scuri… le
ciglia sono più lunghe…più lunghe ho detto,
stronzo… ma no, gli occhi non vanno bene…
ah, quegli occhi… ma no, figuriamoci! In
quel modo no!! Non è solo che sono grandi…
sì, le ciglia vanno bene… poi non sono così
dritti… uno è un po' storto… poco poco… destro
o sinistro non lo so… strabismo di Venere?
Ma ne so 'na sega io… no, di poco più storto…
ma non è quello…no, tu fallo intanto… ma
lo sguardo è diverso… è strano… tutto suo…
mh, non so…è come… è come… come se, alle
volte, non capisse… come se ci mettesse un
po' di più… un po' rallentata… come se rimanesse
un po' smarrita… no, smarrita no…come se
si perdesse…o come se fosse lontana, in quel
momento… lontana in un mondo tutto suo… lontana
dal suo corpo… lontano da quello che le può
accadere…sì, però poi, così all'improvviso
le si accende di una vampa… lo sguardo si
fa birbo, come sapesse cosa vuole davvero
un uomo…come… come farlo davvero felice…
come farlo davvero godere… come se lo sapesse
benissimo… e quel musino di bambina… quella
pelle di seta… bianca…come il marmo… ma no,
cazzo, non è lo sguardo di una cretina… malizia?
Che il film?…ah! Boh, uno sguardo birbo…
di chi sa benissimo cosa si vuole da lei…
ecco, c'incomincia a assomigliare…e c'ha
un po' di lentiggini… appena appena… il collo?
Lungo, mi pare, ma non troppo… le tette so'
piccole… no, più piccole… dai, si vedono
appena… poco di più che una bimba… i capelli
scuri non li fai?… eh, avevi detto "dopo"…
si così, non troppo scuri… basta così, va
bene…ritocca gli occhi… abbastanza, ci somiglia
abbastanza… quell'aria distante, un po' persa,
quella non c'è del tutto… e quella espressione
strana fra l'assente e il divertito, quello
non c'è ancora… manca quell'espressione di
chi sa cosa vorrei e che sa come farmi… no
lascia così, così va bene, bravo… ora levati
dai coglioni, via levati… lascialo lì… lascia
stare tutto…. Fuori, dalle palle!>>.
Pittore uscì rinculando (il sangue gli si
era seccato sulla faccia, agli angoli della
bocca, un ematoma iniziava a chiudergli un
occhio, zoppicava, ma era ancora vivo). Un
ultimo inchino e sparì dietro la porta.
Sparapolli rimase davanti al cavalletto,
davanti al ritratto. Immobile.
Pittore sentì, dietro la porta, là nella
stanza, un lungo basso lamento. Straziante,
disperato.
E allora scappò via.
CAPITOLO TRENTESIMO
Il sole non aveva nessuna voglia di uscire,
rimandava l'alba impigrendosi nelle ultime
pieghe della notte in una luminescenza che
stagnava all'orizzonte. Non c'era vento,
non c'era chiarore, non c'era movimento.
Tutto sospeso, in attesa che qualcosa accadesse.
I palazzoni erano grigi, cinerei, irregimentati
fra sbalzi, contorsioni di svincoli e cumuli
di detriti. Lampioni vandalizzati scortavano
strade tignose. Nessuno ancora aveva visto
Manlio Amanita, scaricato accanto ad un water
sfondato e viola. Le mani legate dietro la
schiena con fil di ferro. Il cranio esploso
a colpi di 44 Magnum.
CAPITOLO TRENTUNESIMO
Sparapolli non sapeva dove aveva lasciato
la sua Mercedes giallo banana.
Sparapolli non andò più al muretto.
Sparapolli usciva spesso di notte, da solo
(e c'è chi lo vide vagare, nel buio, nel
parco della Sedia del Diavolo).
Sparapolli iniziò a scrivere poesie.
Sparapolli faceva schifo come poeta.
Sparapolli piangeva quando non vagava o non
scriveva poesie.
CAPITOLO TRENTADUESIMO
Moano Amanita perse la testa.
Fu ritrovata nei pisciatoi dell'ex mattatoio
di Marianopoli.
CAPITOLO TRENTATRESIMO
<<Zio, zio ma che ci fai qui? Solo,
a quest'ora, in mezzo a questo parco? Ci
sono i Pigafetta che battono tutta la zona.
Gattopiatto coprici da quel montarozzo! Dai
zio vieni via, ci siamo noi>>. <<Io
non ho paura di quelle mezze seghe, basta
questa pistola per tenerli… ma dove l'ho
messa, cazzo dove l'ho… vuoi vedere che,
l'ho lasciata a casa?>> <<Dove
hai la macchina?>> <<Sai che
non lo so?>> <<C'è qualcuno laggiù!>>
<<Abbassiamoci, Gattopiatto chi sono?
Non riesci a vederli? Dai zio, andiamo via,
presto…Cinese, coprici dalla radura, spara
se qualcosa si muove>> <<Io non
ho paura…>> <<Sì, sì lo sappiamo
tutti ma andiamo via ora, ci torneremo domani
qui, ci torneremo domani…dai zio non piangere,
domani torniamo, ti accompagno io, va bene?
Sì, te lo prometto, ma ora andiamo…>>
CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO
<<Ma come, zio, mandare i ragazzi,
con la fotocopia di questo disegno, a cercare
questa qui? Ma dobbiamo risolvere con i Pigafetta…>>
<<Non me ne frega un cazzo, andate
a cercarla!>> <<Zio, non possiamo!>>
<<E non voglio discutere! Muovetevi!
Trovatela! Trovatela! La voglio!!>>
CAPITOLO TRENTACINQUESIMO
Mirto Amanita pareva un quadro astratto.
Eppure era stato un bell'uomo, da vivo.
CAPITOLO TRENTASEIESIMO
Gattopiatto controllava sempre dallo spioncino,
prima di aprire la porta. Era un'abitudine,
per lui. E proprio intorno allo spioncino
misero l'esplosivo al plastico che gli polverizzò
la testa.
CAPITOLO TRENTASETTESIMO
<<Zio! Zio!! Hanno ammazzato Gattopiatto!
Gli hanno fatto scoppiare la testa!! Zio,
hanno ammazzato Gattopiatto!!!>> <<Eh?
Gattopiatto? Cazzo, proprio lui…>>
<<Che dobbiamo fare zio? Che dobbiamo
fare?>> <<Beh fai delle altre
fotocopie del disegno e manda il Cinese in
giro a cercarla>>.
CAPITOLO TRENTOTTESIMO
Popper cavalcava con maestria il ramo di
un pino (un tipo caparbio che si era incaponito
a rimanere verde nella pineta nonostante
i roghi, i funghi, le tossine scaricate nella
terra). <<O giovanotto, icché vu ci
fate costassù?>> Popper guardò dabbasso.
C'era una vecchietta minuta con un cappellino
nero e trinato, un cappottino di lana anch'esso
nero (che tempi ben migliori doveva aver
veduto), un guinzaglio con, all'altra estremità,
un collare contornato da un cane basso, imbolsito
, incanutito, spelacchiato e con lo sguardo
triste e rassegnato (come se pisciare, in
quel momento, gli costasse uno sforzo al
di sopra delle sue possibilità). Insomma
una vecchietta che era passata immutabile,
invisibile al tempo ed ai mutamenti storici,
un acciaioso carattere prima di ben educata
figlia, poi di zitella convinta e poi di
pantera d'argento. In pratica un tipo segaligno
ben più duro del pino stesso. Di certo non
si sarebbe schiodata di lì se non avesse
avuto una risposta adeguata a tutte le sue
domande (che sarebbero state con certezza
tante…). Popper capì che rischiava di mandare
alla malora il suo appostamento. <<Buongiorno,
signora. Si sta bene quassù. Si vedono meglio
gli uccelli, così si studiano bene. A proposito,
la sa la storia della passera sul ramo?>>
<<Per la verità la ignoro>>.
<<Beh, allora gliela racconto io. Un
giorno si scatenò un fortissimo temporale.
Tuoni, fulmini, vento e, soprattutto, tanta,
ma tanta pioggia. Una passera che volava
vide un grand'albero fronzuto ed un suo bel
ramo riparato dalla pioggia. Lì andò a posarsi.
Dopo poco arrivò un corvo. Vide anch'egli
il ramo e là si posò. Con una beccata allontanò
la passera e si mise all'asciutto. Poco dopo
arrivò un falco, piombò sul ramo, allontanò
con una beccata il corvo che spinse ancor
di più nella pioggia la passera. Dopo poco
sul ramo atterrò un'imponente aquila che
allontanò il falco che allontanò il corvo
che allontanò la passera, ormai completamente
sotto la pioggia.
Morale: più l'uccello è grosso e più la passera
si bagna>>.
Con un sorriso Popper guardò la vecchietta
che aprì la bocca sorpresa, arrossì e dando
uno strattone al guinzaglio riprese il proprio
cammino. Il cane si lasciò dimessamente trascinare
guardando Popper con un'ultima occhiata lacrimosa
("no, non ce la faccio proprio a pisciare,
non ce la faccio…"). Popper si rimise
a scrutare la piazza con il binocolo. Laggiù,
oltre il muro d'inutile cemento c'era il
solito movimento inconsistente. Poi lo vide.
Sparapolli arrivò a piedi. La tuta da ginnastica
era di due colori diversi (il sopra era di
un'altra tuta, o il sotto, a seconda del
modo di considerare la cosa), stazzonata
(come se ci avesse dormito dentro diverse
notti) e macchiata qua e là. La barba incolta
e l'occhio arrossato. Dalla solita pizzeria
uscì il solito vigile urbano con la solita
teglia di pizza non pagata. Sparapolli la
guardò. Allungò la mano per prenderne un
pezzo. E il vigile alzò la teglia. E Sparapolli
rimase allungato e basso, a un palmo dalla
pizza. Il vigile rise, risero i suoi colleghi
dalla macchina ferma lì dietro e risero dal
bar di fronte, tutti quanti. Risero. Risero.
Risero. Sparapolli rimase immobile, allungato
(si fa per dire) verso il niente, stupito.
Sembrava l'ottavo nano di gesso in un giardinetto.
Poi tutti scapparono, si buttarono a terra
o dietro i tavolini. Davanti a Sparapolli
c'era una moto da enduro ferma, sgassante,
un uomo con il casco integrale la stava tenendo
su di giri, quello dietro gli stava puntando
addosso al nanerottolo due pistole, alzò
la visiera del suo casco e gridò:<<Sparapolli…>>
attese un istante, i loro sguardi si incrociarono
<<…sei uno stronzo!!!!>> urlò
con tutta la voce. E rinfoderò le pistole
e dette un colpo sulla spalla a quello davanti.
E la moto schizzò via, sparendo.
E la piazza rise.
CAPITOLO TRENTANOVESIMO
Non so se ci siano notti buone per morire
o meno, Sparapolli scelse semplicemente la
più vicina.
Si impiccò al ramo più alto di un ippocastano
canceroso, poco lontano al punto dove aveva
incontrato la bambina.
Rimase a dibattersi, ruotando, per più di
un'ora. E fu anche una brutta morte.
CAPITOLO QUARANTESIMO
Era stata una lunga giornata. Il cielo aveva
sparecchiato la luce in tutta fretta, quasi
con impazienza. E poi aveva steso un telo
nero sopra tutto. Il freddo era arrivato
come di conseguenza. Non c'era molto da vedere,
così Popper si sedette su quei gradini che
portavano chissà dove. Era stata una giornata
stancante e Mr gli si era addormentato sulla
spalla. Popper lo coprì tirando su la manica
della camicia, poi lasciò che lo sguardo
affondasse nel niente che aveva davanti.
(PARZIALMENTE INEDITO)
Claudio Pellegrini Nato a Grosseto. E' autore dei romanzi "Forno
caldo per cani" (Datanews) e "La
donna dal cuore giallo" (Il Minotauro).
Suoi racconti sono apparsi nelle seguenti
raccolte: "Atlas hotel cafe" in
"Neo Noir, 16 storie e un sogno"
(Il Minotauro), "Tutti la notte dormono
e io non dormo mai" in "Neo Noir"
(Stampa Alternativa), "Shangri-là"
in "Italian Tabloid" (L'Altritalia).
Il saggio "Il silenzio degli incoscienti,
Il fenomeno dell'omicidio seriale in Italia"
è apparso in "Vivere per uccidere, anatomia
del serial killer" (Calusca Edizioni).
Ha collaborato con "L'Indipendente",
"Delitti & Misteri" e "Liberazione"
sul fenomeno del serial killer e, sullo stesso
tema, anche con l'emittente "RADIO CITTA'
FUTURA" con la trasmissione "Nuovi
Magazzini Criminali".
Il racconto che pubblichiamo è parte di un
suo romanzo ancora inedito "Le fontane
dell'abisso" ed è stato pubblicato con
il titolo "Sollevami la gonna no?!"
su "Bambini Assassini" (Stampa
Alternativa) mancante di 5 capitoli. Qui
appare per la prima volta in versione integrale.
E' tra i fondatori del movimento neo-noir
"BAMBINI ASSASSINI" contiene il racconto "Sollevami la Gonna No?!" (Stampa Alternativa) |
"VIVERE PER UCCIDERE - anatomia del
serial killer" contiene il saggio "Il Silenzio degli Incoscienti" (Calusca Edizioni) |