IL DIARIO DEL
PROF. PASTICCIO, PASTICCIERE

di Pasticcio, il pasticciere


Ero insieme ad un tizio nel parco di una città, quando mi venne incontro Giovanna. Ricordo bene i suoi occhi, la sua pelle, il suo profumo. Aveva uno strano sorriso, però. Anche quello ricordo. Il suo sorriso era strano, laterale, quasi superficiale. Indossava un copricapo strano, americano e portava gli occhi azzurri così come si portano gli occhiali da sole. Non aveva trucco, né ombretto. Aveva una gonna, quella si. Mi guardò, la guardai, ci guardammo. Io le strinsi la mano, lei la prese, poi guardai il tizio che stava con me. Anche lui stringeva la nostra mano.
Ho rivisto spesso Giovanna, ma anche Francesca, Maria, Daria e Michela. Non ho mai capito in realtà chi amassi veramente, chi odiavo, chi apprezzavo o chi cercavo. Incontrarle mi procurava piacere, una forma di godimento sublime.
Quando sono sdraiato sul mio materasso adoro ripensare a quegli incontri, adoro ricordare i loro visi. Quello che mi procura tristezza non è la malinconia, la solitudine o la nostalgia, ma il ricordo dei loro occhi: si ritrovarono tutte insieme e, nel mio appartamento.
Ricordo bene anche il giorno, il 14 di luglio. Avevo commesso un grande errore, un grosso lapsus, avevo dato appuntamento e tutte alla stessa ora, nello stesso giorno e, come se non bastasse, nello stesso luogo.
Non ricordo bene come sia stato possibile una tale disattenzione. Non ho mai capito come, io, il figlio del pensiero e della razionalità, il cugino dell'illuminismo, il fratello della lucidità, abbia potuto commettere un errore così grave.
Oggi, figlio caro, sto scrivendo due parole su questo foglio perché anche tu possa capire, senza sprecare il tempo che ho buttato io. Lo lascio qui, in questo libro, tra queste pagine, in modo tale che quando lo aprirai troverai la spiegazione.

Presi il libro, controllai bene il paragrafo che fosse quello giusto e, lo riposi nello scaffale. La scritta sul dorso luccicava e recitava Roberto Benigni - E l'alluce fu. Oggi, con questo libro in mano, ricordo bene quel giorno, ma non mi spiego come mai misi questo foglio nel paragrafo: Quando penso a Berlusconi.
Però una cosa è sicura, 40 anni fa, quando lo votai e vincemmo le elezioni, non pensavo che io, ex dirigente della vecchia Rai, ex dirigente della vecchia Fiat, ex docente universitario, oggi mi sarei ritrovato a scrivere dal settimo sottoterra in Berluscopolis.



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Berluscopolis
Lì 11/Fininvest/2040
San Silvio, papà II


Oggi ho rivisto Francesco, il mio collega universitario. Lui insegnava semiotica delle arti visive, ma era laureato, come me, in linguistica. Certamente l'una è una branca dell'altra, sicuramente hanno qualcosa in comune, Sassure, ad esempio.
Stavamo percorrendo la strada sotto casa. Eravamo nel Finiparcum. L'unico posto dove si possono trovare gli alberi d'ulivo. Il paesaggio è meraviglioso. Attorno ai piccoli alberi c'è un girotondo continuo di uomini in uniforme nera che devono vigilare affinché nessun albero espanda troppo i propri rami. Il pericolo è reale. Immaginate di vedere degli alberi al settimo strato sotto terra. Questi per una inconcepibile legge della natura, cercheranno di arrivare alla luce del sole. In questo caso intervengono gli uomini in divisa. Afferrano il bossielettrico e potano i rami che trasgrediscono il regolamento.
Oltre il girotondo, poco più qua, ci sono delle poltroncine per i pensionati più fedeli a quelle sedie. Pensate che quando salii al quinto strato, potei vedere il caro vecchio Giulio che, con voce rauca predicava: "il potere logoro chi non ce l'ha, ma solo oggi, capisco quello che dicevo 60 anni fa". E non vi dico chi incontrai quando fui espulso dal mio strato per approdare al nono (che, tra le altre cose non è l'ultimo). Qui mi ritrovai faccia a faccia con il mio amico Enzo. Era stato recluso nel parco Vox populis e condannato alla pena più dura e grave: ascoltare, per 24 ore al dì, il tg della Fede. Lo ricordo bene perché aveva davanti un piccolo divano vuoto, un tavolino con un computer sopra e un ritratto spaccato in dieci pezzi. Era un simulacro, il volto di un uomo mascherato, con il mantello nero e un segno al quale non associo un preciso significante: R3. Mi sembra di riconoscerne, nei tratti somatici, uno dei miei ex dipendenti, quando facevo il presidente della allora Rai. Potrei dire che fosse Piero Marrazzo, ma non ne sono certo.
Parlando con Francesco vennero fuori altri ricordi, ma ora la mano mi duole, caro figliolo, quindi poso il dalmare (che siamo costretti a percuotere per almeno tre ore al giorno) e ripongo anche questo foglio in questo libro aperto sulle mie cosce.

Quando, stamane, ho riaperto questo libro mi sono venuti in mente quei momenti. Lucidi come il silver mi sono tornati in mente i motivi che mi spinsero a metterlo nel libro di Baudelaire "I fiori del male", ma non capisco perché proprio vicino alla poesia che si chiama "malasorte".



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Stavamo tornando a casa mia. Con me c'era Simona. Ci guardavamo intorno. Non per sospetto ma per abitudine. Io e lei amiamo le bellezze del sottosuolo. Ormai quella luce falsa, quell'odore di chiuso, quell'acqua distillata che cade dal cielo; abbiamo imparato ad amarle. Noi siamo tra i pochi rimasti qui, tra quelli nati alla luce del sole. Gli altri sono tutti figli dei reietti. Poi oggi è un giorno particolare. Sulla terra, mi ricordo, si chiamava equinozio, mi pare. Qui si chiama equilavoro, cioè il giorno in cui, lui, S***, ci concede la maggiore quantità di programmi televisivi, il permesso di leggere "l'unità" e "il manifesto". E' un giorno eccezionale, poiché ci è concesso eccezionalmente una volta ogni tanto (e non regolarmente come era su).
Mi ricordo quando Simona mi ha letto sulle labbra le parole d'amore. Mi ricordo quando mi chiese "che fai domani?" Ah! Che bella domanda, "che fai domani?" Oggi non ha nessuna importanza, quello che farò domani. E' quasi tutto stabilito. Ora la domanda più importante è "cosa ti ricorderai domani?" a cosa penserò domani. Ecco l'unico imprevisto che mi rimane in questa vita certa, fatta di immortalità e clonazioni.
Caro figliolo, oggi questa storia voglio raccontartela e non scriverla. Ho messo via il libro di Collodi, ho appoggiato su quello sgabello "le avventure di Pinocchio" per raccontarti questo mio pensiero. Chissà che un giorno anche questa non ti servirà per recuperare un po' del tempo che io ho buttato via… piccolo, ti voglio bene.
Ma! aspetta… che cosa è questo foglio. No, dai… non è possibile, non l'avevo visto.

***polis
Lì 11/***mesis/2038
San Silvio, operaio

Caro figliolo, ti lascio scritte, su questo foglio, due parole. Un giorno, quando ero al mercato generale, al banco della verdura, spuntò fuori una testa tra il finocchio. Era M***, l'ex Onorevole. Mi ha proposto di candidarmi alle elezioni per il partito dell'olio. - Vinceremo di sicuro - mi disse. Io gli ho risposto di no. Lui provò in tanti modi a farmi cambiar idea - Lei, un intellettuale, ecco di cosa ha bisogno l'Italia - diceva. Ma io figliolo, non volevo essere un pinocchio tra le loro mani. Non potevo…

Ma guarda… non ricordavo questo incontro… E meno male che non volevo sentirmi un burattino, chissà perché poi alla fine accettai l'incarico di presidenza alla Rai. Non ha nessuna importanza ora, tanto dopo quell'esperienza votai al Signore.
…No Dio, lo so che non votai a te, all'altro. No… neppure per tuo figlio, all'altro Signore, quello che ha tutto… si, pure lui ha tre cose… No! Non si chiamano Paradiso, Inferno e Purgatorio, anche se il tg4 deve essere come il purgatorio… No, Dio… Lo so che tu hai il best seller più venduto al mondo… Ma anche lui ne ha uno e in più a tutti i quotidiani… Si, si, bravo, vedi che hai capito? Si, certo, è quello che si spaccia per tuo collega. Sì, vero, ma non si chiama Buddha, Dio! Si certo, anche lui fa le leggi, si le detta. No, Mosè non c'è più, ora c'è Bossi… si a lui le detta… come dici? Quello che c'ha sempre il cazzo in bocca? Aaah! Capito, parli di Sgarbi! Ma che vuoi che ti dica, ognuno c'ha quello che si merita? No Dio, però non c'ha in bocca quello di Bosi, no… Anche questo è vero, se ci avesse quello di Bossi non riuscirebbe a parlare, già.
Bene, Dio… Io vado. Si ci sentiremo ancora, quando vuoi… Che dici? Vuoi mandare Pietro da lui? Io ci manderei Colombo. Quello dell'uovo? No! Quello del pool!



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Beluscopolis
15-Luce-2020
ore 23.00

Stavo portando, come ogni giorno a quell'ora, il cane a spasso nel Finiparcum. Mi vennero incontro quei ragazzi in nero. Mi fermarono. Annusarono il mio alito - non ho alibi - penso - m'hanno incastrato, fottuto.
Mi osservano dalla testa ai piedi. Con quel metaldetector controllano che non abbia armi addosso. Con il setmedia controllano che non abbia giornali con me. Controllano perfino il mio cuoio capelluto, deve essere rifatto, non naturale: rifatto. Nessuno può più portare i capelli suoi, tutti siamo costretti a perderli, stempiati, dobbiamo somigliare al cavaliere puro.
Mi vogliono arrestare, dico - Perché? - nessuna risposta. Nessuna spiegazione. Credo sia per colpa dell'alito. Credo abbiano capito che uso le sostanze stupefacenti naturali, estratti dalla pianta di marijuana, credo. Ma a loro non importa quello che io credo. Prendono in braccio il mio cane, Pluto. Il piccolo viene ammanettato, rinchiuso in una scatola - Ma non ha sporcato -urlo contro ai ragazzi in nero. E loro con faccia strafottente lo portano via.
Lo hanno tenuto per tre mesi in carcere di educazione. Lo hanno costretto a guardare per otto ore al giorno il Fede-Tg. Gli psilusconi, così si chiamano oggi i vecchi psicologi, dicono che seguire per otto ore quel Telegiornale, faccia tornare la fede in Berlusdio. Al quarto mese ci fu un processo. L'accusa per il cane? Aver abbaiato il nome del dio invano e aver prestato ascolto alle mie follie libertarie.

Il giudice ha dato il perdono a Pluto che per penitenza dovrà imparare a percuotere, anche lui, il Dalmare per otto ore al giorno e mordicchiare San Toro. Io ho protestato - Questo vuol dire che Pluto finirà al decimo strato sottoterra. Ed io non lo potrò più vedere -
Il giudice mi disse - accolgo la protesta. La mando al decimo strato sottoterra, così starà vicino al suo cane -
- Ma lì giù ci mandate i matti, rispondo io.
- No caro signore, lì ci mandiamo gli eretici, che è diverso. Quelli che toccano l'altissimo, ecco chi ci finisce lì. Ma se dice altra parola la mando al luttazzi.
- Al luttazzi? E cosa sarebbe, mi scusi, sua cavalleria.
- Il luttazzi è l'ultimo strato. Quello degli infami, delle carogne.
- E chi ci vive lì? - gli chiedo
- Oltre a Daniele solo le bisce e i serpenti.
To' guarda! Il cavaliere si è costruito già la casa…


Vedi, caro figliolo, oggi non ho voglia di fare ironia. Voglio solo lasciarti questa pagina di storia qui, in questo libro "anche le formiche nel loro piccolo si incazzano", accanto alla battuta numero 1437 che alla lettera recita così:
il monumento: vorrei si costruisse un monumento/ al cavalier silvio berlusconi/ per vederlo sorridere contento / mentre gli cagano in testa i piccion



Pasticcio Vi voglio presentare il diario fantastico del prof. Pasticcio, il Pasticciere. Un uomo normale, ma non poco speciale, che adora giocare con le parole e/o raccontare, pasticciare con la lingua.E perchè no, mettere a nudo i processi del pensare o precessare i pensieri (se preferite).Un po' di transliterazioni di pensiero, di giochi d'umore, da parte di un uomo che voleva nascere leone.