"NEBBIE D'AGOSTO" di Angelo Marenzana (M.me Webb 2000) |
"CITTA' VIOLENTA" contiene il racconto "Zona protetta" di Angelo Marenzana (Addictions) |
"LA DONNA NEL RITRATTO" contiene il racconto "Statuette Africane" di Angelo Marenzana (Addictions 2002) |
"I CAVALIERI DALLE LUNGHE OMBRE"
di ANGELO MARENZANA
fine marzo 1979
Ce ne stiamo tutti e quattro in una 128 bianca
con il motore acceso, come ne girano tante,
anonima ma comoda per le quattro porte. L'ha
rubata un paio di giorni prima dalle parti
di Genova il Tedesco, che di tedesco non
ha niente oltre al soprannome, vista la carnagione
olivastra e talmente piccolo da essere scartato
alla visita di leva. E' un mezzo alcolizzato
amico di Roipnol, e qualche volta rubano
insieme delle macchine, ma solo quelle dei
medici. Il Tedesco si tiene la vettura, l'altro
la borsa del dottore, quando c'è, e usa i
ricettari per andare in farmacie fuori città
a comperarsi tutto quello che è possibile
infilarsi in vena. Magari baratta delle fiale
a base di morfina con roba di più pesante.
Altrimenti non porta a casa niente. Solo
il gusto di fare qualcosa di illecito, o
l'idea di ferire la società e le sue regole.
Questa volta però la macchina serve a noi.
E il Tedesco si è convinto di aver chiuso
così tutti i suoi debiti con lui.
Roipnol gracchia una risata, nel silenzio
della vettura, con un filo di saliva ai lati
della bocca, e la testa che ciondola a destra
e sinistra senza un attimo di sosta. Al volante
Lorenzo, quello che ne capisce un po' di
più di macchine e motori. Dietro io e Mariano.
Ci guardiamo e ci sorridiamo, con la tensione
che ci luccica negli occhi. Leggo sulla sua
bocca indurita, e sulle labbra carnose la
convinzione di essere nel giusto. Io mi sento
la pelle della faccia calda e tirata come
dopo una giornata di vento in alta montagna.
Tra me e Mariano c'è un'intesa segnata da
anni di amicizia. Stessa famiglia operaia,
stesse strade del centro, stessa scuola.
A quattordici anni volevamo fare i musicisti.
A diciotto abbiamo scelto la politica. Due
anni dopo la rivoluzione. Unica risposta
possibile agli assalti frontali dello stato,
e dei suoi apparati repressivi. A qualunque
costo, nessuna soluzione intermedia, niente
compromessi con i traditori della sinistra,
e della lotta antifascista. E poi, secondo
noi, i tempi sono maturi per tirare fuori
le armi e dare il via ad uno scontro diretto,
anche per la forte spinta che arriva da gruppi
sempre più numerosi che si agitava all'interno
del movimento, e della classe operaia.
Quel giorno a noi due spetta la parte più
difficile. Entrare in banca. Mentre Roipnol
deve starsene fuori a fare il palo. Entreremo
tra pochi minuti, a volto scoperto, un'operazione
di autofinanziamento per gestire piccole
azioni di disturbo contro obiettivi già individuati.
Poi, forse la clandestinità. Dentro di noi
siamo pronti, se la scelta si renderà necessaria.
Siamo armati solo noi tre. A Lorenzo una
pistola non serve. E poi non ne abbiamo un'altra.
Roipnol ne ha recuperata una non si sa bene
come e dove. E' un'arma cecoslovacca, grande,
piuttosto scomoda per le sue mani piccole.
Però funziona, dice lui, che l'ha provata
in collina, in una sera di luna piena. Io
ho un fucile con le canne segate, una vecchia
doppietta risistemata a dovere dal nostro
amico Fortunato. Mariano invece si porta
dietro una beretta con sei colpi, rapinata
ad una guardia giurata qualche tempo prima.
Si tornava da Torino, di sera. Avevamo adocchiato
il tipo passando per un paese, e, deciso
lì per lì che poteva essere l'occasione giusta.
Lo avevamo seguito e sorpreso nel portone
di casa. Gli avevo puntato quel che restava
della doppietta sotto il mento con una rapidità
tale da sorprendere tutti, lui e noi. Ma
soprattutto me. Mariano era stato altrettanto
rapido a prendergli la pistola, e se l'era
tenuta senza troppe discussioni.
Otto colpi in due. Non uno di più. Ma non
è nostra intenzione usarli, quindi quelli
che abbiamo sono più che sufficienti per
creare panico in banca e uscire con il bottino.
Non siamo banditi, e non dobbiamo sparare
a nessuno. Si tratta di un'azione dimostrativa,
oltre che di autofinanziamento, e deve essere
chiaro che un nucleo combattente si sta organizzando
anche in provincia.
La banca è dall'altro lato della statale.
Per primo scende Roipnol. Aspettiamo che
si fermi. Si guarda in giro, poi nell'atrio,
attraverso l'ampia vetrata fumé. Si sposta
di lato e si mette spalle al muro. Come al
solito sta ridendo. Sembra sempre l'unico
contento. A quel punto scendiamo anche noi
due. Appena metto i piedi fuori dalla macchina
provo un'improvvisa sensazione di freddo
negli occhi, come se dalla strada una qualche
presenza invisibile ci soffiasse dentro aria
gelata. E subito dopo il vuoto nello stomaco.
Ma non dico niente. Spero di trovare la voce
entrando nel locale, giusto per gridare,
fermi fermi state dove siete questa è una
rapina siamo comunisti combattenti e non
vogliamo fare del male a nessuno, cercando
di tenere sotto controllo la situazione,
mentre l'altro dovrà razziare il denaro.
Aspetto che Mariano mi si avvicini, dopo
aver fatto il giro dell'auto. La strada mi
sembra deserta. E con le mani guantate sembriamo
due cavalieri dalle lunghe ombre. Manca solo
il vento forte e cumuli di erba secca e polvere
che svolazzano nell'aria, e un cavallo pronto
a fuggire sfondando la vetrata della banca.
E tutto mi sembra muoversi al rallentatore.
In realtà attorno a noi si agita la limitata
vita mattutina di un paese di nemmeno mille
anime. Poche macchine posteggiate, sulla
destra la schiena di qualcuno che cammina.
Non vedo altro.
Ci muoviamo, con la gamba rigida per l'arma
che preme contro la coscia, nascosta dalla
giacca abbottonata. La mia di pelle scamosciata,
la sua di velluto color biscotto a coste
larghe. Rallentiamo a metà della strada per
far passare un ciclista che sta arrivando
dalla corsia opposta. Io e Mariano ci guardiamo
ancora una volta prima di salire sul marciapiede.
E lo schianto ci arriva secco e prepotente
nelle orecchie.
E' un rumore metallico, al quale segue uno
stridio forte, di ruote che si incollano
sull'asfalto. Ci giriamo tutti e due, di
scatto. Io mi sento lo stomaco che tutto
d'un colpo mi sale in gola, e la testa rimbombare
per le pulsazioni che mi rimbalzano da una
tempia all'altra. Il ciclista che abbiamo
fatto passare un attimo prima è a terra,
non si muove, e la bicicletta rovesciata
poco distante. Un'alfa rossa è fuori per
metà da una stradina secondaria. L'autista
scende e guarda il muso della sua macchina,
dando le spalle all'uomo investito. Io e
Mariano ci facciamo dei segni quasi impercettibili
con gli occhi spalancati. Cerchiamo anche
quelli di Roipnol. Ma vediamo solo la sua
schiena. Ha lasciato il suo posto e si sta
avvicinando al luogo dell'incidente. Non
riusciamo a capire cosa stia facendo. Continuo
a guardarmi in giro, con la bocca che si
riempie di saliva acida.
"Brutto stronzo, ammazzi uno e ti preoccupi
della tua macchina di merda." La voce
di Roipnol è lenta, e il filo di disprezzo
che lega le sue parole si attorciglia nell'aria,
e ci stringe la gola come un cappio. Lo vediamo
togliere la mano di tasca, lento come le
sue frasi, mentre si porta in avanti con
il busto. Lo sentiamo gridare ancora una
raffica di insulti, con rabbia, con la voce
che cresce piano piano, fino a diventare
un urlo acuto, quasi femminile. Poi nell'aria
esplodono tre colpi che si mescolano al rumore
della lamiera che va in frantumi, dei vetri
del fanale che schizzano in aria, e il tonfo
sordo di una gomma che si affloscia a terra.
Grida l'autista, gridano le persone che stanno
accorrendo, qualcuno si gira per tornare
indietro, un altro si getta a terra. Mariano
grida anche lui, più forte di me. Prendiamo
Roipnol per le spalle, e riusciamo a infilarlo
dentro la macchina che Lorenzo ha guidato
quasi sui nostri piedi. Riparte sgommando,
con un'inversione che lo fa salire sul marciapiede.
Ottobre 2000
Spingiamo la mia Bravo dentro l'officina.
"E' saltata la frizione, credo. - Mi
dice il meccanico. Sono stato fortunato a
trovarne subito uno. - Si faccia un giro.
Mi dia un'oretta di tempo e gliela rimetto
a posto."
"Dove trovo un bancomat?" gli chiedo
dopo averlo ringraziato.
"Qui di fronte. C'è una banca."
Facendogli un cenno di saluto con la mano
vedo una 128 bianca ferma in un angolo. Mi
avvicino. La tocco.
"Ha venticinque anni quella macchina,
- mi dice dal fondo il meccanico - è ancora
un gioiellino. Va che è una meraviglia. Era
di un pensionato morto il mese scorso."
Esco senza ascoltare nient'altro. Sento solo
la voce di Lorenzo ronzarmi in testa, come
allora, come quel giorno di fine marzo. Mi
ritornano le sue parole urlate in faccia
a Roipnol, mentre gli vomitava addosso di
essere un paranoico isterico, una gran testa
di cazzo, che non ci dovevamo fidare di lui,
e batteva le mani sul volante, con lo sguardo
fisso sulla strada, e bestemmiava, mentre
Mariano cercava di calmarlo dicendo che eravamo
stati fortunati, che potevamo già essere
entrati in banca, e c'era ancora andata bene
così, e Roipnol che continuava come una lagna,
con la sua voce lenta, a dire che quello
stronzo se lo meritava, che doveva sparargli
in bocca, e non sulla sua alfa di merda,
e Lorenzo che non voleva più saperne niente,
che aveva paura, che voleva andarsene via,
lontano da noi, che non voleva andare in
galera come un imbecille per colpa di uno
stronzo.
E rivedo gli occhi lucidi di Mariano, la
sua faccia sudata, e la testa che si china
piano piano, fino a nascondermi le sue labbra
carnose.
Lorenzo era partito qualche giorno dopo,
e da allora non l'ho più visto. E non abbiamo
più avuto sue notizie. Roipnol invece l'abbiamo
visto un mese dopo, ricomposto nella bara
prima del funerale, con la sua faccina pallida,
da adolescente perenne, come quando era vivo.
L'avevano trovato nei giardini della stazione
con un ago in vena.
Io e Mariano ci eravamo abbracciati all'inizio
dell'estate per un saluto. Avevo deciso di
stare via qualche mese, di farmi un viaggio
in Sud America. Da allora lo sento al telefono
di tanto in tanto, lo sento più spesso per
radio, fa il giornalista per la rai, e conduce
delle trasmissioni dove continua a parlare
come un tempo, con la stessa voglia di cambiare
il mondo, e di farne uno migliore. Ha cambiato
solo lo strumento per raggiungere il suo
scopo.
Sono fuori dall'officina, in mezzo alla strada,
e mi sento la faccia accaldata. E la stessa
aria gelata di allora mi penetra negli occhi.
Li socchiudo, e vado verso la banca. Mi guardo
attorno. La strada mi sembra deserta, nonostante
il traffico, tutto è rallentato, e una polvere
inesistente torna ad agitarsi in aria. Vedo
la giacca di velluto color biscotto a coste
larghe al mio fianco, e io ho l'impressione
di camminare con la coscia irrigidita. Zoppico,
e mi assale lo stesso vuoto nello stomaco.
Lo stesso spasmo freddo di quel giorno. Di
fronte, appoggiato al muro della banca, a
pochi metri dal Bancomat, Roipnol sta ridendo.
E questa volta rido anch'io.
Angelo Marenzana nato ad Alessandria nel 1954, giornalista
pubblicista, ha pubblicato racconti su "Il
Giallo Mondadori", "G La Rivista
del Giallo", collabora nella pagina
delle recensioni con "M La Rivista del
Mistero". Ha pubblicato nel 1999 con
Mobydick "FRONTIERE", nel 2000
"NEBBIE D'AGOSTO"
(Edizioni Mme Webb), nel 2001 "OCCHI
DI PANNA" (Edizioni La Toxa). Ha partecipato
a molte antologie: "SOSPESO" (ED.
L'Entronauta), "PENOMBRA" (ED.
Casarosa), "CITTA' VIOLENTA" (Ed.
Addictions), "L'UOMO NEL CERCHIO"
(Ed. Addictions), "LUOGHI NON COMUNI"
(Ed. Comedit), "SONNO INQUIETO"
(Ed. Casarosa), "MARGINE IN NERO"
(Ed. Mobydick) e "STORIE DEL NOVECENTO"
(Ed. Mobydick).
"SOSPESO" contiene il racconto "Quel Giorno a Lubecca" di Angelo Marenzana (L'Entronauta) |
"LE STORIE DEL NOVECENTO" contiene il racconto "L'Altra Metà di Anita" di Angelo Marenzana (MobyDick) |
"Penombra" contiene il racconto "L'Attesa" di Angelo Marenzana (Casa Rosa) |
"L'UOMO NEL CERCHIO" contiene un racconto di Angelo Marenzana (Addictions 2001) |
"OCCHI DI PANNA" di Angelo Marenzana (Edizioni La Toxa 2001) |
"FRONTIERE" di Angelo Marenzana (MobyDick 1999) |