PENSARE ILIA
di Bruno Manca



Il mio mondo ha un raggio di trecento metri. Trascorro le giornate a registrare suoni, rumori e parole che giungono alle mie orecchie attraverso il microfono direzionale collegato a un registratore ad alta fedeltà.
Il microfono è anche chiamato fucile. La definizione fa al caso mio. Questa è diventata l'unica arma con cui riesco ad ammazzare il tempo, in attesa che ammazzi me.
L'idea è stata di Max, un amico che ha fatto per quarant'anni il tecnico del suono.
Di lui adoro tre pensieri in particolare:
1 - la cosa più bella nel dialogo è l'ascolto;
2 - la cosa più difficile nel dialogo è l'ascolto;
3 - ascoltiamo con gli occhi e tappiamo le orecchie per non vedere.
Quando mi ha regalato l'attrezzatura ha tagliato corto sul motivo che lo ha spinto a farlo: "Viola, se non puoi più vedere, metti in testa le cuffie e ascolta.".
Ho seguito il suo consiglio.
Se soffia il maestrale copro il microfono con una specie di preservativo peloso. Con lo scirocco preferisco mettere l'asta controvento e sentire il fruscio dei granelli di sabbia trasportati dal deserto.
Inseguo gli aerei e il rombo dei loro motori, immaginando la sottile scia impressa nel cielo azzurro. Curioso nella vita della prostituta sul lungo mare mentre aspetta invano l'uomo capace di darle il cuore invece di centomila lire più gli insulti.
Ascolto il mare in burrasca, le onde che esplodono sugli scogli e i gridolini isterici della gente raggiunta dagli spruzzi d'acqua.

Entro nella camera da letto dei vicini di casa e raccolgo prove della violenza fisica su una donna di trent'anni ormai abituata a incassare i pugni del marito. La sento spesso urlare che preferirebbe fare cambio con la prostituta: almeno ci guadagnerebbe qualcosa.
Registro il cicaleccio, il rumore dell'erba mossa dal vento e quello delle persiane che cigolano, lo sbattere d'ali dei pipistrelli di notte e dei gabbiani di giorno, il pianto dei bambini, lo scorrere dell'acqua piovana nelle grondaie, i versi sguaiati dei gatti in amore, il respiro pesante del barbone ubriaco mentre dorme accovacciato sulla panchina di ferro alla fermata dell'autobus.
Da due mesi entro ed esco dalla vita di Ilia senza bussare o chiedere permesso. Non mi ero mai accorta di lei quando avevo occhi per vedere. Vive sola e il suo mondo è più piccolo del mio: otto metri per otto di giardino circondato da una siepe fitta.
La prima volta che l'ho sentita era notte fonda. Le sue parole erano confuse, impastate. Parlava nel sonno. Si rivolgeva al marito Eugenio, morto tre anni fa, lamentandosi della fatica per mantenere il giardino in buone condizioni. Ilia ha settant'anni e passa le giornate china sulla terra, armata di piccoli attrezzi. Spesso si lamenta del mal di schiena o dell'artrite alle mani.
Ho come l'impressione che parli a qualcuno ma non sento mai altre voci oltre la sua. Decanta la bellezza di fiori e alberi da frutto. Si struscia contro i piccoli cespugli di mirto e sorride al ricordo di quando faceva così da giovane per profumare la gonna. Si sofferma sulla lavanda e i fiori d'arancio che custodisce come fossero reliquie. È fiera del pino marittimo e posso sentire il rumore delle sue mani che scorrono lungo il tronco. Scuote i rami del limone e conta i frutti che cadono. Sussurra parole di meraviglia per le margherite che crescono spontanee intorno alle aiuole.
Quando innaffia si incanta al brillare delle gocce d'acqua posate sui petali. Si perde in lunghi monologhi sull'importanza dell'abbinamento dei colori in giardino e sulla cura della siepe che circonda la casa. Sfida chiunque a trovare una veranda bella come la sua, con la tettoia coperta da grappoli di glicine.
La brezza porta i profumi nella mia stanza. Si mescolano con l'aria salmastra e l'effetto è uguale a quello della morfina somministrata da Max.
Gli ho fatto ascoltare le registrazioni. Pensa che le parole di Ilia unite ai suoni registrati qua e là darebbero vita a un romanzo originale.
Lo incuriosiscono soprattutto le parole d'amore di Ilia rivolte a una viola. Dalla finestra non l'ha vista. Ha controllato da vicino spiando attraverso la siepe ma non vi è traccia. Forse Ilia vede cose che non esistono, a differenza di me che sono obbligata a immaginare anche quelle reali.
Non siamo più tornati sul mistero della viola fantasma.
Il tempo scorre veloce e io peggioro sempre più. Sono costretta a letto. Max ha fissato l'asta del microfono alla ringhiera e allungato il filo delle cuffie per non farmi perdere Ilia.
Oggi sta dedicando corpo e anima all'orchidea piantata in mezzo al giardino.

I petali sono disposti in maniera singolare. Sembra che il fiore sorrida, dice emozionata.
Non sento più niente. Scuoto il filo ma non ottengo risultati. Mi agito, il respiro è affannoso.
Max è in cucina. Provo a chiamarlo ma non ho la forza.
Mi aggrappo al pensiero di lei, ormai al centro del mio mondo diventato improvvisamente non più grande di un punto.
Il vento si è alzato. È scirocco. Porta nella stanza il profumo del giardino.
Un ultimo respiro.
Lo trattengo, pensando a Ilia.

BRUNO MANCA vive e lavora a Milano

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