L'IRA DEL SANTO
di Maurizio Landini



La luce bianca del duplice plenilunio illuminava l'architettura retta su enormi tubature color ruggine del Sacro Tempio delle Scritture, le cui fondamenta scomparivano sotto la superficie increspata del Lago di Phembees. Simili a due occhi di gatto nel buio, entrambe le lune si riflettevano liquide sul silenzio dell'ora ottava.
L'anfibio stellare a forma di grosso scarabeo nero -lo stesso raffigurato nell'effige del Ducato di Gaudàn- attraccò sul molo dell'Isola Sacra, a una decina di metri dall'ingresso al Tempio. Il duca Çevioh scese dalla imbarcazione preceduto dai suoi fedelissimi. Tutti gli ambasciatori del Protaoh Nero indossavano lunghi mantelli color terra d'ombra: sulla divisa del duca spiccava la spilla del Casato gaudàniano che emanava una strana, fumosa luce violacea e profumata.

Il grande condottiero di Gaudàn aveva pensato bene di informare la Curia che sarebbe giunto nell'Isola con un certo ritardo, a causa di una piccola avaria ai propulsori dello "scarabeo", dando il suo assenso affinché la funzione religiosa notturna dell'Attimo di Pace avesse inizio senza di lui. La cosa lo aveva rattristato non poco: tale cerimonia si svolgeva una sola notte l'anno: unico "attimo di pace" durante il quale i due eserciti in guerra -quello di Phadoh e del Protaoh Nero- deponevano i dardi laser e inviavano le rispettive ambasciate per scambiarsi un dono, come segno di momentanea interruzione delle ostilità. Quest'anno l'onore di tale incarico era stato concesso ai gaudàniani, ed essi giungevano in ritardo: molto triste.

Il gruppo oltrepassò velocemente il Portale del Tempio e scomparve nel buio del lungo corridoio a volta che conduce alla Grande Sala della Lettura, chiamata anche Sala di Assorbimento della Preghiera: chiunque intendesse partecipare a una funzione religiosa doveva prima fermarsi nella Grande Sala e ascoltare le preghiere recitate dai Cenobiti della Curia: era una sorta di "anticamera di profumazione spirituale" per poi accedere alla cerimonia vera e propria. Senza distinzione di classe, di grado o razza tutti avevano bisogno di "odorare di santità".

Lungo il corridoio emergevano altorilievi di rara fattura, che riproducevano i principali episodi tratti dalle Scritture phembeenite, illuminati da plafoniere di vetro finissimo; Çevioh notò che i suoi uomini avevano rallentato il passo, presi dall'ammirazione per la galleria di pesanti figure che "uscivano" dalle pareti, quasi dovessero precipitare sul pavimento da un momento all'altro. Ne approfittò per dare sfoggio della sua cultura in fatto di antiche leggende: <<La decorazione di tutto il corridoio è stata commissionata, in un anno imprecisato di quattro secoli fa, dalla Curia della Costa al famoso scultore Noorinto, deceduto poche ore dopo aver completato la sua opera. Strane storie si narrano circa le cause della sua improvvisa dipartita. Fra tutte la più terribile è legata a uno degli ultimi altorilievi che precedono l'ingresso alla Grande Sala, raffigurante il Messia Tyrnees col volto deformato dall'ira nei confronti dei seguaci che lo hanno tradito: è il passo delle Scritture che precede l'apocalittico Lamento della Scomparsa. Il risultato è così verosimile da far credere che il Messia stesso, per chissà quale incantesimo, sia stato imprigionato nella pietra. Si narra che Noorinto avesse raggiunto un tale realismo in preda a uno stato allucinatorio che gli procurava forti spasmi all'addome. Ma egli non riusciva a interrompere la sua creazione e man mano che la pietra azzurra di Phembees assumeva le fattezze del Santo, i suoi dolori aumentavano. Cadde più volte in ginocchio sotto il peso dell'immane sofferenza prima di accasciarsi definitivamente privo di vita ai piedi del suo parto scultoreo oramai terminato.>> Il duca attese un attimo come per riflettere su ciò che aveva appena raccontato, quindi riprese: <<Esistono varie interpretazioni di questa leggenda, conosciuta in molti pianeti del Sistema Arenarico, alcune delle quali spiegano il decesso improvviso dello scultore come un castigo del Messia Tradito…>>
<< Sciocchezze!>> commentò a mezza voce Aadramash, nipote del duca.
Nell'oscurità echeggiavano i salmi responsoriali, correndo lungo il corridoio come folate di vento. Man mano che i cinque gaudàniani si avvicinavano alla Grande Sala sembrava che il coro di voci fuoriuscisse dalle figure scolpite, attorno a essi.
Dopo un po' fu il valoroso Ammonio a prendere la parola formulando una domanda al suo signore: <<Cosa poteva aver fatto il povero scultore Noorinto perché Tyrnees il Santo lo punisse con la morte?>>
Çevioh arrestò il suo cammino. Attese che anche i suoi soldati dinanzi a lui si fermassero e voltandosi incontrassero il suo sguardo.
<< Aveva tradito.>>
Qualche istante di silenzio piombò nel buio, e parve trascorrere lento come un rigido inverno. Quindi il duca tornò ad accompagnare i suoi passi con le parole. << Pare che l'artista avesse tradito l'enorme fiducia che il gerarca Heon del Pianeta Cieco -suo generoso mecenate- riponeva in lui, sottraendo alcuni oggetti preziosi custoditi nella sua lussuosa dimora.>>

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<<Bene. Eccoci giunti al cospetto del Santo. >> Dal groviglio di raffigurazioni apocalittiche che sovrastava la Porta d'ingresso alla Grande Sala, affiorava terribile il volto di Tyrnees in tutta la sua tensione muscolare scolpita in un grido che lo rendeva "assordante a vedersi".
Il duca di Gaudàn passò avanti a tutti, fece per entrare ma si bloccò nell'udire le parole di un altro suo prode guerriero. <<Signore, qual è secondo Voi il miglior dono di cui si possa fare omaggio al nostro acerrimo nemico Phadoh? >> chiese Gherydian, il più giovane dei cinque gaudàniani, che non riuscì a condire la domanda col giusto sapore sarcastico, smorzato da una voce tremolante.
Çevioh si voltò verso di lui e sorrise socchiudendo gli occhi. Per un attimo la loro luce ipnotizzante perse di intensità. In alto, alle spalle del duca la scultura del Messia Tyrnees fissava i presenti, ed adesso appariva così vivida da destare un angosciante senso di attesa: che da un momento all'altro si liberasse del suo "involucro di pietra". Il condottiero gaudàniano dischiuse le labbra a rallentatore, in sincronia con gli occhi: << Le piccole foglie degli antichi alberi di Adamarte. Il loro incredibile profumo aiuta a ritrovare il senno a chi lo ha perduto…>>
L'aria divenne solida. Ibernante. Ogni cosa si atrofizzò in un mare di ghiaccio invisibile, finché la voce cristallina di Thyniah non si aprì un varco nel silenzio:
<<Sbagliate, mio caro.>>
Per tutto il tragitto la fedele compagna di Çevioh se n'era stata zitta, zitta, a testa bassa, col sipario di lunghi capelli corvini calato sul viso: la mente abbandonata in chissà quali "rotazioni"; inspiegabilmente la sua voce sortiva dalle labbra più bella che mai, un canto soave che si librava nell'oscurità con la sua lunga e sottile coda d'eco.
Thyniah estrasse dal mantello un pugnale a triplice lama, arma sacra all'esercito phadiano. Ammonio, Aadramash e il giovane Gherydian fecero lo stesso, quasi all'unisono.
<<Morte al Protaoh Nero e alla sua tirannia!>>
Le lame dei quattro pugnali tagliarono l'aria buia.
Il duca di Gaudàn cadde in ginocchio senza emettere alcun gemito.
La luce intensa dei suoi occhi color carminio si spense per sempre.

Quando i Cenobiti nella Grande Sala, udirono le grida provenienti dal corridoio, interruppero le loro preghiere e si precipitarono fuori. Lo scenario che si parò loro davanti aveva dell'incredibile.
Cinque ambasciatori protaohneriani giacevano al suolo privi di vita, ai piedi del messia Tyrnees, immobile, pietrificato nella sua ira.



MAURIZIO LANDINI è nato ad Ancona ventotto anni fa. Laureato in filosofia, musicista, illustratore, appassionato di letteratura horror. A partire dal 1993 ha pubblicato diversi racconti in fanzine e giornali locali. Un suo racconto è presente in questo sito nel cantiere di scrittura "The Black Rider - Il Cavaliere Nero" e una altro nel laboratorio del "Grande Macello".
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