UNTITLED
di Janis
Appuntamento ore 20. Sarebbe passato a prenderla
lui. Doveva muoversi se voleva essere pronta
in tempo, quindi accelerò il passo. Arrivò
a casa ansante ma adesso poteva rilassarsi:
aveva tutto il tempo necessario per portare
a termine il rito della preparazione. Si
accese una sigaretta e si stese sul divano
togliendosi le scarpe. Voleva che tutto fosse
come lo aveva progettato da giorni: era una
perfezionista e aveva pensato a tutto, dalle
calze al trucco. Intanto con la cenere si
andavano consumando gli ultimi istanti di
tregua che la dividevano dall'acqua e la
schiuma della vasca da bagno. Si alzò animata
da una forte dose di adrenalina e si spogliò
lungo il corridoio lasciando sul pavimento
le tracce del suo passaggio. Era eccitata
ma distesa: sapeva che per fare un buon lavoro
bisognava avere la mente lucida. Stavano
insieme da due anni ma stasera si sentiva
come la prima volta che la portò fuori a
cena. E invece sarebbe stata l'ultima. Lui
la tradiva. Lo aveva osservato, aveva ascoltato
le sue telefonate, frugato fra la sua roba
e ,alla fine, il seguimento dell'altra mattina
aveva confermato le sue tesi. L'aveva visto
in un bar con una bionda ( le solite puttane,
pensò) e lo stomaco le si era contratto in
uno spasmo disgustato mentre si rendeva conto
di avere davanti la sua antitesi. Eppure
lui aveva sempre detto di amare i suoi capelli
neri ( che bastardo) e adesso invece si strusciava
ad una biondona patinata, emblema della superficialità
assoluta ( bastava uno sguardo per capirlo)
- ma d'altronde cosa aspettarsi da una donna
biondo platino -.
Bevve di fretta il caffè nero fumante e si
allontanò protetta dai suoi occhiali scuri.
Quella stessa mattina aveva comprato il vestito
che stava per indossare: rosso come il peccato.
Si truccò con cura - attenta ad ogni sfumatura-
senza sbavare il rossetto o lasciare grumi
di rimmel.
Era una perfezionista.
Si guardò dinuovo allo specchio soddisfatta
dell'immagine che le rimandava e mentre saliva
sui tacchi a spillo si accorse di non avere
le unghie laccate. Stava per commettere un
errore. Doveva essere impeccabile, era una
notte troppo importante per lasciarsi cogliere
impreparati.
Tornò in bagno e scelse lo smalto, lo passò
con cura: niente sbavature o tracce sulle
dita, neanche una goccia rubino sulla pelle.
Adesso era pronta. Doveva solo trovare un
modo per occupare i minuti che ancora la
allontanavano dal suo uomo per non innervosirsi
nell'attesa. Accese un'altra sigaretta, si
versò da bere e si sedette sullo sgabello
in cucina. Bevve e si fermò ad osservare
le tracce di rossetto sul bicchiere: doveva
ricordarsi di ritoccarlo prima di uscire.
I suoi pensieri furono interrotti : il citofono.
Spense la sigaretta, si alzò lentamente facendo
attenzione a non smagliare le autoreggenti
e a non rovinarsi lo smalto. Aprì la porta
e se lo trovò davanti mentre abbozzava quell'espressione
che conosceva bene: preludio di uno dei suoi
complimenti che ora sapeva falsi. Per un
istante una vertigine di disgusto la colse
inaspettatamente ma si controllò subito:
non poteva permettersi il lusso di rovinare
tutto proprio ora.
Gli offrì da bere e si ripassò il rosso sulle
labbra. Perfetto. Prese la borsa, il cappotto
e mentre lui la aspettava sul pianerottolo
andò un attimo in cucina. Poteva andare.
Era il loro anniversario e lui la portò in
un ristorante di classe. Sul tavolo una candela
colava ardendosi.
Ordinarono pesce e vino bianco. Lei non aveva
molto appetito: la nausea di poco fa le aveva
chiuso lo stomaco. Ma sapeva di dover mangiare
qualcosa perché tutto doveva corrispondere
al millesimo all'idea che aveva elaborato
in quei giorni.
Poi uscirono. Lui aveva bevuto, lei no. Doveva
restare lucida. E mentre si recavano alla
macchina lui non fece altro che adularla-
lei pensò che una volta si sarebbe sciolta
solo a sentire quelle parole sussurrate al
buio.
Sapeva cosa doveva fare adesso. Lui aveva
condotto il gioco per tutta la sera - o almeno
lei glielo aveva fatto credere- ma adesso
i ruoli si sarebbero ribaltati, come sempre.
Stasera, però, il finale non sarebbe stato
lo stesso.
Anche stavolta avrebbero percorso le strade
deserte e la macchina si sarebbe fermata
a casa di lui.
Poco dopo furono sul divano e lui cominciò
a baciarla. Lei si fece del male per non
staccarsi disgustata: pensava a quella bionda
al bar, al fatto che la lingua che adesso
la leccava aveva fatto lo stesso con una
donna che non era lei. Un conato di vomito.
Lo bloccò giusto in tempo. Basta. Doveva
pensare ad altro, almeno per un altro po'.
Non poteva rinunciare a tutto proprio adesso.
Per questo cercò di dissimulare il ribrezzo
quando si accorse che lui le insinuava una
mano sotto il vestito. Si fece persino togliere
le calze ma fu l'ultima cosa che il suo uomo
ebbe il tempo di fare.
Dalla schiena il sangue gli salì alla bocca,
adesso era lei che lo baciava fra la saliva
e i fiotti di miele vermiglio ancora pulsante.
Poi si allontanò mentre gli ultimi rantoli
sgorgavano dalla gola di quell'uomo che adesso
era uno sconosciuto abbandonato scompostamente
sul divano con un coltello da cucina piantato
tra le scapole.
Si alzò, prese la borsa e chiamò un taxi.
Andò in bagno , si controllò il vestito:
era stata brava, sapeva che quel vestito
le donava. Gli schizzi di sangue non si notavano
molto: tono su tono, una cosa di classe-
noblesse oblige-.
Si chiuse la porta alle spalle e uscì - non
senza aver prima ritoccato il rossetto, d'altronde
lei era una perfezionista-.
Era stanca e sul sedile posteriore del taxi
pensò che non avrebbe più comprato abiti
rossi, ne aveva fin troppi…
JANIS ?