"IO MEDESIMO SONO L'INFERNO" a cura di Roberto Frini (Club G.Ho.S.T. Edizioni) |
"BIZZARRO SHOW" contiene un racconto di Roberto Frini (Club G.Ho.S.T. edizioni) |
SUBSTRATO
di Roberto Frini
"La scienza proclamava il nulla, l'arte ammirava
la decadenza:
il mondo era vecchio e finito; ma tu ed io
eravamo lieti."
G. K. Chesterton, L'uomo che fu Giovedì
Nel 3660 accadde quello che gli scienziati
avevano ormai previsto da tempo. Una Supernova,
denominata Hr8210, formata da una nana bianca
e da una stella simile al Sole, posizionata
a soli 160 anni luce dalla Terra, esplose.
La previsione degli scienziati permise di
salvare una parte della popolazione terrestre,
che fu trasferita in rifugi creati nel sottosuolo,
a oltre cento metri di profondità. Ogni altra
forma di vita fu spazzata via in pochi secondi.
Sono trascorsi sei anni da allora.
Marillio, presidente del governo della città
sotterranea, si stava concentrando per scacciare
l'immagine che da alcuni giorni a quella
parte lo ossessionava, quando il suo segretario
Remoto entrò nell'ufficio.
"Che c'è?" gli chiese subito Marillio,
ben contento di poter deviare il corso dei
suoi pensieri.
Remoto si schiarì la voce. "Un problema
piuttosto serio, presidente."
"Cioè?"
"Alla periferia est della città hanno
registrato un movimento tellurico."
Marillio impallidì. "Ne siete sicuri?"
Remoto annuì e Marillio s'alzò stancamente.
"Evacuate gli abitanti e isolate la
zona."
"Già fatto, presidente. Però …"
"Però … cosa?"
"Alcuni degli abitanti sembrano impazziti."
Marillio aggrottò la fronte. "Sarà lo
spavento."
"Può darsi. Comunque, per precauzione
sono stati trasferiti nel comparto isolato."
"Giusto."
"Vuole visitarli?"
"Eh?" Marillio guardò il segretario
con una certa preoccupazione. "Oh, certo,"
disse poi. Aggirò la scrivania e seguì il
segretario, e si massaggiò le tempie perché
si accorse che l'immagine che lo perseguitava
stava tornando.
*
Gli abitanti della città sotterranea che
avevano dato segni di squilibrio erano stati
chiusi ognuno in una stanza. Il più grave
si chiamava Eno. Quando Marillio, Remoto
e uno psichiatra entrarono nella stanza,
l'uomo era chino a terra, e con gli occhi
socchiusi seguiva il percorso di un insetto
immaginario.
"Cos'ha?" chiese Marillio al medico.
"Afferma d'essere in grado di creare
dal nulla alcune forme di vita."
"Non capisco."
"Secondo lui, ciò che è sotto di noi,
e che ha scatenato la scossa, gli ha donato
una facoltà sovrannaturale."
Marillio si chinò anch'egli, e osservò Eno
che, soltanto dopo qualche istante, s'accorse
della sua presenza. "E' bello, vero?"
"Certo," rispose Marillio. "Molto
bello."
"L'ho creato io."
"Come?"
Eno sollevò la mano e sfiorò la fronte con
un dito. "Grazie alla mia … mente."
"È straordinario."
"Già," annuì Eno, e gli occhi gli
luccicarono. "Ma non è nulla in confronto
a ciò che potrò fare in seguito, con l'esercizio.
Potrò creare ogni cosa."
*
In un'altra zona della città sotterranea,
precisamente in una tra le strade più frequentate
del comparto centrale, un uomo e una donna
erano seduti al tavolino di un bar e osservavano
il lucido metallo bianco del soffitto della
città come una volta avevano scrutato il
cielo. Pur essendo giovane, adesso e ancora
di più quando la Supernova era esplosa bruciando
la vita sulla Terra, e pur essendo innamorata,
Ietra spesso cadeva preda dello sconforto
e del ricordo di ciò che aveva perduto.
"Com'era bello il sole," disse.
"E gli animali … e correre sui prati
a piedi nudi. Qui c'è soltanto metallo. Io
non ne posso più."
"Però ci siamo salvati," cercò
di confortarla Dega. "Avresti preferito
morire?"
"Sì, forse … sì. Eravamo i prescelti,
no? Io perché ero bella, tu perché eri intelligente.
Gli eletti, destinati a salvarsi mentre gli
altri morivano. Ma … è vita questa?"
"Ci amiamo. A me basta. Guardo gli altri,
vedo che tutto sommato preferiscono essere
qui che morti in superficie, e spero nel
futuro. Certo, rimpiango molte cose, ma non
dispero." Abbracciò la donna e aggiunse:
"Inoltre, lo sai no?, il governo non
vede di buon occhio i pessimisti. Dicono
che possono infettare anche gli altri."
Ietra fece una smorfia amara. "Già.
Che idiozia."
"No, Ietra, non è un'idiozia. Qua sotto
è molto più facile impazzire."
"Claustrofobia, giusto?"
"Proprio così. Perciò, ti prego, cerca
di non pensare più al passato. È dannoso."
*
Non era soltanto il ricordo del passato,
della vita in superficie, ad ossessionare
Ietra. C'era anche il rimorso per ciò che
era successo agli altri. Il giorno in cui
un funzionario l'aveva raggiunta nel camerino
degli studi televisivi spiegandole che presto
una catastrofe si sarebbe abbattuta sul pianeta
e che il governo aveva già cominciato a costruire
una rete di abitazioni sotterranee per la
salvezza dei prescelti, le ritornava spesso
alla memoria. Quel giorno aveva provato paura,
ma anche sollievo per aver saputo che lei
non sarebbe morta, e poi tristezza per tutti
coloro che sarebbero stati annientati dalla
Supernova. Il funzionario le aveva assicurato
che insieme a lei si sarebbero salvati anche
i suoi familiari, ma ciò non era bastato,
anche perché poi i suoi genitori erano morti
comunque, incapaci di adattarsi a quel nuovo
mondo, e ora Ietra era rimasta con il rimorso,
a cui s'aggiungeva un'immagine che negli
ultimi tempi aveva cominciato ad ossessionarla.
Vedeva qualcosa, in lontananza. Non riusciva
a capire bene di cosa si trattava ma, poco
dopo, udiva un rumore assordante, che era
nella sua testa, e vedeva un oggetto che
ruotava, come un vortice, e s'avvicinava,
s'avvicinava.
*
"Cominci anche tu a pensare che serve
a poco essere ottimisti?" chiese Marillio
a Remoto.
"No, presidente, non è questo. Ma certo
quella scossa potrebbe non essere un caso
isolato. Potrebbe ripetersi."
Marillio annuì. "Può darsi. Ma non dobbiamo
farci prendere dal panico. Tanto più che
la nostra situazione è disperata."
Remoto impallidì. "Non capisco."
"Siamo in un frangente terribile, inutile
nasconderlo. Se davvero sotto di noi la terra
sta cedendo, dove potremo rifugiarci? Mi
chiedo: siamo forse destinati a fare la fine
dei topi?"
"Presidente, se mi permette questo è
… pessimismo."
Marillo fece una smorfia amara. "Lo
è, certo. L'importante è che tutto ciò resti
tra noi. La popolazione dev'essere costantemente
rassicurata. Faremo dei rilievi e nel caso
si verifichino altre scosse, annunceremo
che si tratta di normali assestamenti e che
non c'è da preoccuparsi. Nel frattempo cercheremo
un altro luogo dove trasferirci, ammesso
che esista."
*
Ietra si svegliò nel cuore della notte, urlando.
Aprì gli occhi ed ebbe la netta sensazione
che le pareti, che l'intera stanza, che il
letto dov'era sdraiata si stessero muovendo.
Non si trattava soltanto di una sensazione,
e ne ebbe conferma quando, accendendo la
luce, vide Dega che si vestiva velocemente.
"Presto," le disse. "Dobbiamo
andare."
"Che succede?" chiese lei, pur
sapendo benissimo che la terra sotto di loro
stava tremando.
"Una scossa."
Uscirono per strada e trovarono altre persone
in preda al panico. Gli addetti alla sicurezza
li spinsero lontano, mentre intorno a loro
si aprivano fenditure e la strada metallica
sprofondava nelle viscere della Terra. Si
fermarono quando non avvertirono più le scosse,
e allora qualcuno, ancora sotto shock, cominciò
a gridare. Tra le grida Dega udì anche quelle
di Ietra.
*
Marillio stava parlando con lo psichiatra
che s'occupava dei pazienti rinchiusi nel
comparto isolato. "Eno è l'unico che
presenta sintomi così particolari,"
disse il medico. "Ma non credo che si
tratti semplicemente di qualcosa che ha a
che fare con la sua psiche."
"Cioè?"
"In un primo momento credevamo che la
follia improvvisa fosse stata causata dallo
spavento seguito al terremoto. Per gli altri
pazienti probabilmente è così. Ma non per
Eno." Lo psichiatra s'alzò, prese delle
radiografie e le mostrò a Marillio. "Vede?
Abbiamo rilevato qualcosa nel cervello di
Eno." Gli indicò una piccola zona nera,
dalla forma irregolare.
"Non potrebbe trattarsi di un …"
"No. Non è una neoformazione. È qualcosa
di vivo."
"Di … vivo?!"
"Mmm. Un organismo vivente, forse un
germe. Difficile stabilirlo senza un esame
più approfondito. In ogni caso il paziente
sostiene di poterne vedere gli occhi, e di
udire la sua voce, che è entrata in comunicazione
con la sua mente. Direi che è più simile
a un virus, perché s'è scatenato con il terremoto
cercando di infettare tutte le persone presenti
ma c'è riuscito pienamente soltanto con Eno."
"Un virus," rifletté Marillio.
Il medico annuì. "Sì. Un virus che dà
a Eno la sensazione d'essere onnipotente.
E sa come l'abbiamo chiamato?"
"Come?"
"Dio."
*
Ietra entrò nella stanza con ancora negli
occhi ciò che aveva visto sotto di lei. La
terra che scivolava con un rombo verso l'abisso
di fuoco. Non sapeva se l'aveva soltanto
immaginato, se era davvero possibile che
la città sotterranea fosse sospesa sul vuoto,
e se bastasse una scossa per far precipitare
tutti loro tra le fiamme. Certo è che tra
quelle fiamme le era sembrato di vedere qualcosa
che si muoveva, e che vibrava, e di udire
un suono stridulo, metallico provenire da
essa.
Dega la venne a trovare e cercò di parlarle,
ma Ietra non l'ascoltò, continuando a guardare
un punto davanti a sé e a muovere gli occhi
come se seguisse il movimento rotatorio di
un oggetto.
*
"Vede?" chiese lo psichiatra a
Marillio.
Il presidente restò impietrito a guardare
nel microscopio. Era davvero un minuscolo
essere dalle fattezze umane, ed era agghiacciante
constatare che quell'essere aveva anche gli
occhi. "E' incredibile," rispose
infine.
"Neanche poi tanto," commentò lo
psichiatra. "Si tratta di un modo diverso
di ricreare la vita. O forse no. Forse è
qualcosa di più complesso e … cosmico. Sa,
questo non è il mio campo, però ho come la
sensazione che quella Supernova che ha ucciso
ogni essere vivente non fosse una stella
come tutte le altre."
Marillio sbottò. "E cos'era allora?
Dio, il diavolo? Io credo che queste scosse
stiano facendo saltare i fusibili un po'
a tutti, ecco di cosa si tratta. Anche a
lei, senza offesa. Niente di strano, d'altronde.
Rischiamo di estinguerci una volta per tutte."
Il medico sorrise. "Estinguerci, appunto.
Può darsi che in tutto questo c'entri anche
l'estinzione. E se la Supernova non fosse
altro che l'inviato di un essere superiore?"
"E dai. Ancora questa storia di Dio?"
"Perché no? Mi stia a sentire: forse
Dio s'era stancato di noi e voleva eliminarci.
Ha mandato la Supernova. Però l'uomo non
può cedere così facilmente nemmeno a Dio,
e s'è rifugiato nel sottosuolo. Dio ha pensato
che forse poteva ricominciare da capo ed
ecco il virus, che permette agli uomini di
creare un nuovo mondo. Ma la mente umana
è costituita da troppe barriere, troppi strati
che la rendono impenetrabile. Tutte tranne
quella di Eno. Questo spiegherebbe la follia
collettiva e la paura e le scosse e la nuova
e probabilmente ultima apocalisse."
Marillio guardò di sbieco il medico. "Conclusione?"
"Conclusione, dobbiamo rassegnarci al
nostro destino. Se Dio vuole creare un nuovo
mondo, non possiamo far altro che lasciarlo
fare."
"Scusi se mi permetto di nuovo,"
borbottò Marillio. "E senza offesa:
lei dovrebbe far compagnia a Eno in una di
quelle stanze."
*
Coloro che erano stati ricoverati nel comparto
isolato vivevano sempre soli, l'unico momento
in cui potevano incontrarsi, del tutto casualmente,
era quando venivano visitati. E fu proprio
in questo modo che s'incontrarono Ietra e
Eno. Fu come se non si conoscessero, perché
la malattia aveva tolto loro gran parte dei
ricordi. Ma lo sguardo che si scambiarono
era la dimostrazione che qualcosa dal passato
riemergeva, e Eno sentì dentro di sé che
Ietra aveva bisogno del suo aiuto, così le
disse: "Io posso … tutto."
Le sfiorò la guancia con le dita, cosicché
Ietra poté percepire un'energia, una potenza
incredibile provenire da Eno. Sì, nessuno
credeva che Eno fosse davvero in grado di
creare, ma lei ora ci credeva, e vide Eno
che fissava un punto sulla parete, e su quella
parete pochi istanti dopo compariva un fiore,
che lui coglieva e le porgeva.
Poi Eno veniva portato via, e Ietra rimaneva
seduta, in attesa del suo turno, nascondendo
il fiore tra le mani per paura che qualcuno
glielo rubasse, e rimirandolo ogni tanto
con un sorriso.
Pensò che forse non tutto era perduto, e
che ciò che aveva vissuto quand'era in superficie
poteva viverlo nuovamente.
*
Qualche giorno dopo, Marillio si rese conto
che la città sotterranea aveva ormai le ore
contate. Le scosse si ripetevano in continuazione,
la follia si diffondeva, e gli interventi
della sicurezza si rivelavano insufficienti.
Molti abitanti erano morti, altri lo sarebbero
stati tra poco. Ciò che la Supernova non
era riuscita a compiere si stava compiendo
adesso.
Si disse che forse lo psichiatra, con le
sue storie su Dio e il destino, aveva ragione.
Non potevano farci nulla: se era scritto
che l'umanità doveva scomparire, sarebbe
scomparsa, disgregata insieme al pianeta
doveva aveva vissuto per migliaia di anni.
Marillio si prese la testa tra le mani, gemendo,
perché l'immagine di quell'oggetto rotante
era tornata, più ossessiva e lancinante.
Ora poteva udirne anche il rumore. Forse
era quello il primo sintomo della follia.
Tra breve sarebbe impazzito anche lui, lo
sentiva.
La porta s'aprì ed entro Remoto insieme a
due addetti alla sicurezza.
"Presidente," disse. "Fuori
sono scoppiati dei tumulti. La popolazione
chiede che venga aperto il cunicolo."
Marillio lo guardò con gli occhi che lacrimavano.
"Hanno idea di cosa può significare
tornare in superficie?"
"Credo di sì. Ma quaggiù moriremo comunque."
"Forse abbiamo ancora …"
Remoto lo interruppe con una certa durezza.
"No, presidente. Con tutto il rispetto,
qui non potremo salvarci. E non è solo per
le scosse. Io stesso ho percepito delle presenze.
Sotto."
"L'inferno?"
"Come?"
"Niente," gesticolò Marillio. Poi
sospirò e s'asciugò gli occhi, e prese una
decisione che, seppure per pochi istanti,
scacciò l'oggetto rotante dalla sua mente.
"Va bene," disse. "Aprite
il cunicolo."
*
Il caos si sparse tra gli abitanti della
città sotterranea quando si diffuse la notizia
che il cunicolo sarebbe stato aperto e che
dovevano tornare in superficie. Nessuno di
loro avrebbe mai creduto di poter rivedere,
un giorno, il cielo. Ognuno si riversò per
le strade e corse verso il cunicolo, per
paura che venisse richiuso prima che potesse
raggiungerlo, e questo nonostante gli altoparlanti
invitassero ripetutamente alla calma e a
muoversi in maniera ordinata.
Non tutte le strade erano praticabili, e
il panico e la rabbia si mischiarono in una
miscela esplosiva. Gli addetti alla sicurezza,
quei pochi rimasti fedeli al loro dovere,
dovettero intervenire per sedare risse cruente.
Al comparto isolato, nessuno badò ai pazienti,
che vennero abbandonati al loro destino.
Dega però non si dimenticò di Ietra e appena
appresa la notizia si recò al comparto. Scoprì
così che il personale se n'era andato prima
ancora di aprire tutte le stanze. Dovette
cercare le chiavi magnetiche per poter liberare
Ietra. Appena lo ebbe fatto lei uscì dalla
stanza e lo abbracciò.
"Ce ne andiamo," disse Dega.
"Dove?"
"Torniamo in superficie."
"Prima dobbiamo liberare gli altri."
Dega la guardò. Come potevano aver creduto
che quella donna fosse pazza? O forse era
proprio questo un sintomo di pazzia: la paura
di morire non soffocava l'altruismo. "Certo,"
annuì. "Hai ragione."
Aprirono le stanze, e quando liberarono Eno,
Ietra gli prese le mani e lo guardò e sorrise.
"Torniamo su … tu potrai."
Eno si passò le mani sulle tempie, lentamente,
chiudendo gli occhi, e sorrise anche lui.
"Sì," rispose. "Io posso."
*
L'ascensore che saliva lungo il cunicolo
cominciò il viaggio conclusivo, perché portava
in superficie gli ultimi abitanti della città
sotterranea. Tra essi v'erano Marillio, lo
psichiatra, Dega, Ietra, Remoto, Eno e i
pazienti del comparto isolato. "Tutto
il nostro ottimismo non è servito a nulla,"
stava dicendo il presidente. "Abbiamo
cercato di fare in modo che nessuno degli
abitanti fosse preda della claustrofobia,
del terrore dei luoghi chiusi, della sfiducia
di una vita oscura e senza speranze, e questo
è il risultato. Dobbiamo tornare là da dove
siamo venuti, sicuri che moriremo."
Lo psichiatra guardò Eno. "Non è vero.
Far sì che gli abitanti vivessero nell'ottimismo
è servito a qualcosa, dopotutto. Li guardi.
Salgono con la speranza che tutto possa tornare
come prima. Questo è il virus che sta cercando
di diffondersi: la speranza."
Marillio sogghignò. "Il virus, già.
Gli ha cambiato nome? Se non sbaglio si chiamava
Dio."
"Dio … speranza. Non è la stessa cosa?"
Dega osservava Ietra che a sua volta non
smetteva di fissare Eno, e Eno ricambiava
il suo sguardo e ogni tanto sorrideva. Sembravano
due bambini che condividevano un segreto
gioioso. Eno a un certo punto chiuse le mani
e concentrò lo sguardo su di esse. Dopo pochi
istanti le riaprì e sul palmo della mano
sinistra zampettava una formica. Ietra allungò
le dita e lasciò che la formica salisse sulla
sua mano.
"Questo è solo l'inizio," disse
Eno.
Dega s'avvicinò e guardò sbalordito la formica.
*
La superficie non era come se l'erano aspettata.
Pensavano di trovare un deserto senza vita,
invece qualcosa c'era, e anche se non somigliava
a nulla di ciò che ricordavano, era sempre
meglio che niente.
Enormi costruzioni di un grigio metallico
occupavano il suolo terrestre. Costruzioni
dalle forme incredibili, alcune sospese per
aria, altre talmente elevate che la sommità
si perdeva nel cielo.
"Cosa diavolo sono?" chiese Marillio.
Nessuno seppe rispondergli, ma Dega s'incamminò
verso una di esse, finché fu a pochi metri.
Allora la costruzione s'aprì come una scatola
e dall'interno uscì una sfera enorme. Essa
si mosse sopra di loro con un rumore terribile,
che poco dopo però cessò. "Benvenuti,"
disse la sfera.
"Chi … sei?" gli chiese Dega dopo
aver superato la paura.
"Sono un terrestre. Uno dei nuovi terrestri."
"Da dove venite?" intervenne Marillio,
che già si stupiva del fatto di non essere
stato ancora ucciso dai veleni dell'aria.
La sfera ruotò su di lui. "Siamo sempre
stati qui. Un tempo eravamo le vostre macchine,
non ricordate? Vi servivamo giorno e notte,
sicuri però che prima o poi avremmo preso
il sopravvento. La Supernova è stata una
nostra idea, e ci ha permesso di farlo. Voi
non potevate sopravvivere qua sopra, noi
sì."
Dega respirò a fondo. "Noi credevamo
di trovare veleni tali da ucciderci dopo
pochi istanti."
"Oh, quelli. Abbiamo ripulito l'atmosfera
per accogliervi degnamente."
"Voi sapevate che …"
Se una sfera può ridere, il rumore che emise
la sfera somigliò proprio a una risata. "Se
sapevamo? Ma certo. Siamo stati noi a volere
che tornaste in superficie. Le scosse, il
terrore che vi ha spinto a lasciare la città
sotterranea: opera nostra. Siamo potenti,
dopotutto ci avete creato voi."
"Ma … perché?"
"Come dire? Malinconia, ricordi, solitudine.
Siamo macchine, ma proviamo le stesse sensazioni
che provate voi. Sentivamo il bisogno di
avere di nuovo intorno degli esseri umani,
degli alberi, degli animali. Insomma, sentivamo
nostalgia insomma di ciò che c'era una volta
sulla Terra. Nonostante la nostra potenza,
non siamo però in grado di ricreare tutto.
Forse perché non lo abbiamo apprezzato abbastanza
quando esisteva. Voi invece potete farlo."
Si spostò velocemente sopra Eno. "Uno
di voi è in grado di creare. Abbiamo sviluppato
una gamma di microonde capaci di donare agli
uomini un'incredibile capacità, quella di
far nascere la vita."
Lo psichiatra s'avvicinò alla sfera. "E
che sarà di noi dopo che lui avrà ricreato
la Terra?"
"Rimarrete qui," rispose la sfera.
"Ma non avrete più il dominio sulle
macchine. Non lavorerete, non produrrete,
non amerete. Non farete più nulla di ciò
che facevate prima. Dovrete limitarvi a rendere
piacevole la nostra esistenza."
"Dì la verità," continuò lo psichiatra.
"Tu non sei soltanto una macchina."
Marillio guardò la sfera che ruotava sopra
di lui e l'accostò all'immagine che per tanti
giorni l'aveva ossessionato. La sfera non
aggiunse altro. Tornò all'interno della costruzione.
"Continua con questa storia di Dio?"
chiese Marillio allo psichiatra.
"Chi altri potrebbe averci inoculato
il virus della speranza per farci tornare
in superficie e farci diventare degli schiavi?"
Marillio allargò le braccia. "Dimentica
che siamo tornati qui perché laggiù saremmo
morti."
"È stata soltanto una messinscena, probabilmente."
"Lasci perdere. Dio o il diavolo o chissà
cos'altro, l'importante è che siamo vivi."
Lo psichiatra guardò Dega. "Vivi, ma
schiavi."
Dega non rispose. Stava osservando Eno che
già cominciava la sua opera, e Ietra che
gli andava dietro e rideva ad ogni sua nuova
creazione.
© 2002 - Roberto Frini
ROBERTO FRINI è nato a Milano. Ha pubblicato le raccolte "Show-girl
da combattimento" (Abastor), "Schizzi
di sangue", "Brividi" e il
racconto lungo "Il mercenario"
(Edizioni Ghost). Suoi lavori sono apparsi
su Lore, Subway, Nuovi Mondi, Anonima Gidierre,
Ghost News, Planet Ghost, Il Foglio Letterario,
Mongoloid, sui siti del Foglio Letterario,
del Club Ghost, del movimento Neonoir, su
HorrorCult, Crislor 999, Maltese Narrazioni,
Petali Neri, Scheletri.com, Il Luna Park
dell'Orrore, Lo Scrigno dei Pensieri. Ha
partecipato alle raccolte collettive "Torture
cerebrali", "Paura", "Bizzarro
show", "Ultimi morsi", "Guru
Meditation", "Spasmo" e "Sexyhorror"
(Edizioni Ghost). Sempre per il Ghost ha
curato l'antologia "Io medesimo sono
l'inferno". Ha scritto articoli per
la rivista Videodrome e collabora con Nocturno
Cinema, Quarto Potere e con il sito del Club
Ghost. Si occupa delle recensioni letterarie
per HorrorCult. Ha fondato l'associazione
culturale Extravaganza ed è direttore responsabile
della rivista FantaZona. . Il suo primo,
vero racconto risale al 1991. Da allora ha
scritto quattro romanzi (ma i primi due li
considera delle prove), più di ottanta racconti,
soggetti, sceneggiature, radiodrammi (per
la Radio Svizzera Italiana) e testi teatrali.
E' presente in questo sito anche nella sezione
"Black Rider - Il cavaliere nero, progetto di scrittura".