"IO MEDESIMO SONO L'INFERNO"
a cura di Roberto Frini
(Club G.Ho.S.T. Edizioni)
"BIZZARRO SHOW"
contiene un racconto
di Roberto Frini
(Club G.Ho.S.T. edizioni)

SUBSTRATO
di Roberto Frini

"La scienza proclamava il nulla, l'arte ammirava la decadenza:
il mondo era vecchio e finito; ma tu ed io eravamo lieti.
"
G. K. Chesterton, L'uomo che fu Giovedì





Nel 3660 accadde quello che gli scienziati avevano ormai previsto da tempo. Una Supernova, denominata Hr8210, formata da una nana bianca e da una stella simile al Sole, posizionata a soli 160 anni luce dalla Terra, esplose. La previsione degli scienziati permise di salvare una parte della popolazione terrestre, che fu trasferita in rifugi creati nel sottosuolo, a oltre cento metri di profondità. Ogni altra forma di vita fu spazzata via in pochi secondi. Sono trascorsi sei anni da allora.




Marillio, presidente del governo della città sotterranea, si stava concentrando per scacciare l'immagine che da alcuni giorni a quella parte lo ossessionava, quando il suo segretario Remoto entrò nell'ufficio.
"Che c'è?" gli chiese subito Marillio, ben contento di poter deviare il corso dei suoi pensieri.
Remoto si schiarì la voce. "Un problema piuttosto serio, presidente."
"Cioè?"
"Alla periferia est della città hanno registrato un movimento tellurico."
Marillio impallidì. "Ne siete sicuri?"
Remoto annuì e Marillio s'alzò stancamente. "Evacuate gli abitanti e isolate la zona."
"Già fatto, presidente. Però …"
"Però … cosa?"
"Alcuni degli abitanti sembrano impazziti."
Marillio aggrottò la fronte. "Sarà lo spavento."
"Può darsi. Comunque, per precauzione sono stati trasferiti nel comparto isolato."
"Giusto."
"Vuole visitarli?"
"Eh?" Marillio guardò il segretario con una certa preoccupazione. "Oh, certo," disse poi. Aggirò la scrivania e seguì il segretario, e si massaggiò le tempie perché si accorse che l'immagine che lo perseguitava stava tornando.
*
Gli abitanti della città sotterranea che avevano dato segni di squilibrio erano stati chiusi ognuno in una stanza. Il più grave si chiamava Eno. Quando Marillio, Remoto e uno psichiatra entrarono nella stanza, l'uomo era chino a terra, e con gli occhi socchiusi seguiva il percorso di un insetto immaginario.
"Cos'ha?" chiese Marillio al medico.
"Afferma d'essere in grado di creare dal nulla alcune forme di vita."
"Non capisco."
"Secondo lui, ciò che è sotto di noi, e che ha scatenato la scossa, gli ha donato una facoltà sovrannaturale."
Marillio si chinò anch'egli, e osservò Eno che, soltanto dopo qualche istante, s'accorse della sua presenza. "E' bello, vero?"
"Certo," rispose Marillio. "Molto bello."
"L'ho creato io."
"Come?"
Eno sollevò la mano e sfiorò la fronte con un dito. "Grazie alla mia … mente."
"È straordinario."
"Già," annuì Eno, e gli occhi gli luccicarono. "Ma non è nulla in confronto a ciò che potrò fare in seguito, con l'esercizio. Potrò creare ogni cosa."
*
In un'altra zona della città sotterranea, precisamente in una tra le strade più frequentate del comparto centrale, un uomo e una donna erano seduti al tavolino di un bar e osservavano il lucido metallo bianco del soffitto della città come una volta avevano scrutato il cielo. Pur essendo giovane, adesso e ancora di più quando la Supernova era esplosa bruciando la vita sulla Terra, e pur essendo innamorata, Ietra spesso cadeva preda dello sconforto e del ricordo di ciò che aveva perduto.
"Com'era bello il sole," disse. "E gli animali … e correre sui prati a piedi nudi. Qui c'è soltanto metallo. Io non ne posso più."
"Però ci siamo salvati," cercò di confortarla Dega. "Avresti preferito morire?"
"Sì, forse … sì. Eravamo i prescelti, no? Io perché ero bella, tu perché eri intelligente. Gli eletti, destinati a salvarsi mentre gli altri morivano. Ma … è vita questa?"
"Ci amiamo. A me basta. Guardo gli altri, vedo che tutto sommato preferiscono essere qui che morti in superficie, e spero nel futuro. Certo, rimpiango molte cose, ma non dispero." Abbracciò la donna e aggiunse: "Inoltre, lo sai no?, il governo non vede di buon occhio i pessimisti. Dicono che possono infettare anche gli altri."
Ietra fece una smorfia amara. "Già. Che idiozia."
"No, Ietra, non è un'idiozia. Qua sotto è molto più facile impazzire."
"Claustrofobia, giusto?"
"Proprio così. Perciò, ti prego, cerca di non pensare più al passato. È dannoso."
*
Non era soltanto il ricordo del passato, della vita in superficie, ad ossessionare Ietra. C'era anche il rimorso per ciò che era successo agli altri. Il giorno in cui un funzionario l'aveva raggiunta nel camerino degli studi televisivi spiegandole che presto una catastrofe si sarebbe abbattuta sul pianeta e che il governo aveva già cominciato a costruire una rete di abitazioni sotterranee per la salvezza dei prescelti, le ritornava spesso alla memoria. Quel giorno aveva provato paura, ma anche sollievo per aver saputo che lei non sarebbe morta, e poi tristezza per tutti coloro che sarebbero stati annientati dalla Supernova. Il funzionario le aveva assicurato che insieme a lei si sarebbero salvati anche i suoi familiari, ma ciò non era bastato, anche perché poi i suoi genitori erano morti comunque, incapaci di adattarsi a quel nuovo mondo, e ora Ietra era rimasta con il rimorso, a cui s'aggiungeva un'immagine che negli ultimi tempi aveva cominciato ad ossessionarla.
Vedeva qualcosa, in lontananza. Non riusciva a capire bene di cosa si trattava ma, poco dopo, udiva un rumore assordante, che era nella sua testa, e vedeva un oggetto che ruotava, come un vortice, e s'avvicinava, s'avvicinava.
*
"Cominci anche tu a pensare che serve a poco essere ottimisti?" chiese Marillio a Remoto.
"No, presidente, non è questo. Ma certo quella scossa potrebbe non essere un caso isolato. Potrebbe ripetersi."
Marillio annuì. "Può darsi. Ma non dobbiamo farci prendere dal panico. Tanto più che la nostra situazione è disperata."
Remoto impallidì. "Non capisco."
"Siamo in un frangente terribile, inutile nasconderlo. Se davvero sotto di noi la terra sta cedendo, dove potremo rifugiarci? Mi chiedo: siamo forse destinati a fare la fine dei topi?"
"Presidente, se mi permette questo è … pessimismo."
Marillo fece una smorfia amara. "Lo è, certo. L'importante è che tutto ciò resti tra noi. La popolazione dev'essere costantemente rassicurata. Faremo dei rilievi e nel caso si verifichino altre scosse, annunceremo che si tratta di normali assestamenti e che non c'è da preoccuparsi. Nel frattempo cercheremo un altro luogo dove trasferirci, ammesso che esista."
*
Ietra si svegliò nel cuore della notte, urlando. Aprì gli occhi ed ebbe la netta sensazione che le pareti, che l'intera stanza, che il letto dov'era sdraiata si stessero muovendo. Non si trattava soltanto di una sensazione, e ne ebbe conferma quando, accendendo la luce, vide Dega che si vestiva velocemente. "Presto," le disse. "Dobbiamo andare."
"Che succede?" chiese lei, pur sapendo benissimo che la terra sotto di loro stava tremando.
"Una scossa."
Uscirono per strada e trovarono altre persone in preda al panico. Gli addetti alla sicurezza li spinsero lontano, mentre intorno a loro si aprivano fenditure e la strada metallica sprofondava nelle viscere della Terra. Si fermarono quando non avvertirono più le scosse, e allora qualcuno, ancora sotto shock, cominciò a gridare. Tra le grida Dega udì anche quelle di Ietra.
*
Marillio stava parlando con lo psichiatra che s'occupava dei pazienti rinchiusi nel comparto isolato. "Eno è l'unico che presenta sintomi così particolari," disse il medico. "Ma non credo che si tratti semplicemente di qualcosa che ha a che fare con la sua psiche."
"Cioè?"
"In un primo momento credevamo che la follia improvvisa fosse stata causata dallo spavento seguito al terremoto. Per gli altri pazienti probabilmente è così. Ma non per Eno." Lo psichiatra s'alzò, prese delle radiografie e le mostrò a Marillio. "Vede? Abbiamo rilevato qualcosa nel cervello di Eno." Gli indicò una piccola zona nera, dalla forma irregolare.
"Non potrebbe trattarsi di un …"
"No. Non è una neoformazione. È qualcosa di vivo."
"Di … vivo?!"
"Mmm. Un organismo vivente, forse un germe. Difficile stabilirlo senza un esame più approfondito. In ogni caso il paziente sostiene di poterne vedere gli occhi, e di udire la sua voce, che è entrata in comunicazione con la sua mente. Direi che è più simile a un virus, perché s'è scatenato con il terremoto cercando di infettare tutte le persone presenti ma c'è riuscito pienamente soltanto con Eno."
"Un virus," rifletté Marillio.
Il medico annuì. "Sì. Un virus che dà a Eno la sensazione d'essere onnipotente. E sa come l'abbiamo chiamato?"
"Come?"
"Dio."
*
Ietra entrò nella stanza con ancora negli occhi ciò che aveva visto sotto di lei. La terra che scivolava con un rombo verso l'abisso di fuoco. Non sapeva se l'aveva soltanto immaginato, se era davvero possibile che la città sotterranea fosse sospesa sul vuoto, e se bastasse una scossa per far precipitare tutti loro tra le fiamme. Certo è che tra quelle fiamme le era sembrato di vedere qualcosa che si muoveva, e che vibrava, e di udire un suono stridulo, metallico provenire da essa.
Dega la venne a trovare e cercò di parlarle, ma Ietra non l'ascoltò, continuando a guardare un punto davanti a sé e a muovere gli occhi come se seguisse il movimento rotatorio di un oggetto.
*
"Vede?" chiese lo psichiatra a Marillio.
Il presidente restò impietrito a guardare nel microscopio. Era davvero un minuscolo essere dalle fattezze umane, ed era agghiacciante constatare che quell'essere aveva anche gli occhi. "E' incredibile," rispose infine.
"Neanche poi tanto," commentò lo psichiatra. "Si tratta di un modo diverso di ricreare la vita. O forse no. Forse è qualcosa di più complesso e … cosmico. Sa, questo non è il mio campo, però ho come la sensazione che quella Supernova che ha ucciso ogni essere vivente non fosse una stella come tutte le altre."
Marillio sbottò. "E cos'era allora? Dio, il diavolo? Io credo che queste scosse stiano facendo saltare i fusibili un po' a tutti, ecco di cosa si tratta. Anche a lei, senza offesa. Niente di strano, d'altronde. Rischiamo di estinguerci una volta per tutte."
Il medico sorrise. "Estinguerci, appunto. Può darsi che in tutto questo c'entri anche l'estinzione. E se la Supernova non fosse altro che l'inviato di un essere superiore?"
"E dai. Ancora questa storia di Dio?"
"Perché no? Mi stia a sentire: forse Dio s'era stancato di noi e voleva eliminarci. Ha mandato la Supernova. Però l'uomo non può cedere così facilmente nemmeno a Dio, e s'è rifugiato nel sottosuolo. Dio ha pensato che forse poteva ricominciare da capo ed ecco il virus, che permette agli uomini di creare un nuovo mondo. Ma la mente umana è costituita da troppe barriere, troppi strati che la rendono impenetrabile. Tutte tranne quella di Eno. Questo spiegherebbe la follia collettiva e la paura e le scosse e la nuova e probabilmente ultima apocalisse."
Marillio guardò di sbieco il medico. "Conclusione?"
"Conclusione, dobbiamo rassegnarci al nostro destino. Se Dio vuole creare un nuovo mondo, non possiamo far altro che lasciarlo fare."
"Scusi se mi permetto di nuovo," borbottò Marillio. "E senza offesa: lei dovrebbe far compagnia a Eno in una di quelle stanze."
*
Coloro che erano stati ricoverati nel comparto isolato vivevano sempre soli, l'unico momento in cui potevano incontrarsi, del tutto casualmente, era quando venivano visitati. E fu proprio in questo modo che s'incontrarono Ietra e Eno. Fu come se non si conoscessero, perché la malattia aveva tolto loro gran parte dei ricordi. Ma lo sguardo che si scambiarono era la dimostrazione che qualcosa dal passato riemergeva, e Eno sentì dentro di sé che Ietra aveva bisogno del suo aiuto, così le disse: "Io posso … tutto."
Le sfiorò la guancia con le dita, cosicché Ietra poté percepire un'energia, una potenza incredibile provenire da Eno. Sì, nessuno credeva che Eno fosse davvero in grado di creare, ma lei ora ci credeva, e vide Eno che fissava un punto sulla parete, e su quella parete pochi istanti dopo compariva un fiore, che lui coglieva e le porgeva.
Poi Eno veniva portato via, e Ietra rimaneva seduta, in attesa del suo turno, nascondendo il fiore tra le mani per paura che qualcuno glielo rubasse, e rimirandolo ogni tanto con un sorriso.
Pensò che forse non tutto era perduto, e che ciò che aveva vissuto quand'era in superficie poteva viverlo nuovamente.
*
Qualche giorno dopo, Marillio si rese conto che la città sotterranea aveva ormai le ore contate. Le scosse si ripetevano in continuazione, la follia si diffondeva, e gli interventi della sicurezza si rivelavano insufficienti. Molti abitanti erano morti, altri lo sarebbero stati tra poco. Ciò che la Supernova non era riuscita a compiere si stava compiendo adesso.
Si disse che forse lo psichiatra, con le sue storie su Dio e il destino, aveva ragione. Non potevano farci nulla: se era scritto che l'umanità doveva scomparire, sarebbe scomparsa, disgregata insieme al pianeta doveva aveva vissuto per migliaia di anni. Marillio si prese la testa tra le mani, gemendo, perché l'immagine di quell'oggetto rotante era tornata, più ossessiva e lancinante. Ora poteva udirne anche il rumore. Forse era quello il primo sintomo della follia. Tra breve sarebbe impazzito anche lui, lo sentiva.
La porta s'aprì ed entro Remoto insieme a due addetti alla sicurezza.
"Presidente," disse. "Fuori sono scoppiati dei tumulti. La popolazione chiede che venga aperto il cunicolo."
Marillio lo guardò con gli occhi che lacrimavano. "Hanno idea di cosa può significare tornare in superficie?"
"Credo di sì. Ma quaggiù moriremo comunque."
"Forse abbiamo ancora …"
Remoto lo interruppe con una certa durezza. "No, presidente. Con tutto il rispetto, qui non potremo salvarci. E non è solo per le scosse. Io stesso ho percepito delle presenze. Sotto."
"L'inferno?"
"Come?"
"Niente," gesticolò Marillio. Poi sospirò e s'asciugò gli occhi, e prese una decisione che, seppure per pochi istanti, scacciò l'oggetto rotante dalla sua mente. "Va bene," disse. "Aprite il cunicolo."
*
Il caos si sparse tra gli abitanti della città sotterranea quando si diffuse la notizia che il cunicolo sarebbe stato aperto e che dovevano tornare in superficie. Nessuno di loro avrebbe mai creduto di poter rivedere, un giorno, il cielo. Ognuno si riversò per le strade e corse verso il cunicolo, per paura che venisse richiuso prima che potesse raggiungerlo, e questo nonostante gli altoparlanti invitassero ripetutamente alla calma e a muoversi in maniera ordinata.
Non tutte le strade erano praticabili, e il panico e la rabbia si mischiarono in una miscela esplosiva. Gli addetti alla sicurezza, quei pochi rimasti fedeli al loro dovere, dovettero intervenire per sedare risse cruente.
Al comparto isolato, nessuno badò ai pazienti, che vennero abbandonati al loro destino. Dega però non si dimenticò di Ietra e appena appresa la notizia si recò al comparto. Scoprì così che il personale se n'era andato prima ancora di aprire tutte le stanze. Dovette cercare le chiavi magnetiche per poter liberare Ietra. Appena lo ebbe fatto lei uscì dalla stanza e lo abbracciò.
"Ce ne andiamo," disse Dega.
"Dove?"
"Torniamo in superficie."
"Prima dobbiamo liberare gli altri."
Dega la guardò. Come potevano aver creduto che quella donna fosse pazza? O forse era proprio questo un sintomo di pazzia: la paura di morire non soffocava l'altruismo. "Certo," annuì. "Hai ragione."
Aprirono le stanze, e quando liberarono Eno, Ietra gli prese le mani e lo guardò e sorrise. "Torniamo su … tu potrai."
Eno si passò le mani sulle tempie, lentamente, chiudendo gli occhi, e sorrise anche lui. "Sì," rispose. "Io posso."
*
L'ascensore che saliva lungo il cunicolo cominciò il viaggio conclusivo, perché portava in superficie gli ultimi abitanti della città sotterranea. Tra essi v'erano Marillio, lo psichiatra, Dega, Ietra, Remoto, Eno e i pazienti del comparto isolato. "Tutto il nostro ottimismo non è servito a nulla," stava dicendo il presidente. "Abbiamo cercato di fare in modo che nessuno degli abitanti fosse preda della claustrofobia, del terrore dei luoghi chiusi, della sfiducia di una vita oscura e senza speranze, e questo è il risultato. Dobbiamo tornare là da dove siamo venuti, sicuri che moriremo."
Lo psichiatra guardò Eno. "Non è vero. Far sì che gli abitanti vivessero nell'ottimismo è servito a qualcosa, dopotutto. Li guardi. Salgono con la speranza che tutto possa tornare come prima. Questo è il virus che sta cercando di diffondersi: la speranza."
Marillio sogghignò. "Il virus, già. Gli ha cambiato nome? Se non sbaglio si chiamava Dio."
"Dio … speranza. Non è la stessa cosa?"
Dega osservava Ietra che a sua volta non smetteva di fissare Eno, e Eno ricambiava il suo sguardo e ogni tanto sorrideva. Sembravano due bambini che condividevano un segreto gioioso. Eno a un certo punto chiuse le mani e concentrò lo sguardo su di esse. Dopo pochi istanti le riaprì e sul palmo della mano sinistra zampettava una formica. Ietra allungò le dita e lasciò che la formica salisse sulla sua mano.
"Questo è solo l'inizio," disse Eno.
Dega s'avvicinò e guardò sbalordito la formica.
*
La superficie non era come se l'erano aspettata. Pensavano di trovare un deserto senza vita, invece qualcosa c'era, e anche se non somigliava a nulla di ciò che ricordavano, era sempre meglio che niente.
Enormi costruzioni di un grigio metallico occupavano il suolo terrestre. Costruzioni dalle forme incredibili, alcune sospese per aria, altre talmente elevate che la sommità si perdeva nel cielo.
"Cosa diavolo sono?" chiese Marillio.
Nessuno seppe rispondergli, ma Dega s'incamminò verso una di esse, finché fu a pochi metri. Allora la costruzione s'aprì come una scatola e dall'interno uscì una sfera enorme. Essa si mosse sopra di loro con un rumore terribile, che poco dopo però cessò. "Benvenuti," disse la sfera.
"Chi … sei?" gli chiese Dega dopo aver superato la paura.
"Sono un terrestre. Uno dei nuovi terrestri."
"Da dove venite?" intervenne Marillio, che già si stupiva del fatto di non essere stato ancora ucciso dai veleni dell'aria.
La sfera ruotò su di lui. "Siamo sempre stati qui. Un tempo eravamo le vostre macchine, non ricordate? Vi servivamo giorno e notte, sicuri però che prima o poi avremmo preso il sopravvento. La Supernova è stata una nostra idea, e ci ha permesso di farlo. Voi non potevate sopravvivere qua sopra, noi sì."
Dega respirò a fondo. "Noi credevamo di trovare veleni tali da ucciderci dopo pochi istanti."
"Oh, quelli. Abbiamo ripulito l'atmosfera per accogliervi degnamente."
"Voi sapevate che …"
Se una sfera può ridere, il rumore che emise la sfera somigliò proprio a una risata. "Se sapevamo? Ma certo. Siamo stati noi a volere che tornaste in superficie. Le scosse, il terrore che vi ha spinto a lasciare la città sotterranea: opera nostra. Siamo potenti, dopotutto ci avete creato voi."
"Ma … perché?"
"Come dire? Malinconia, ricordi, solitudine. Siamo macchine, ma proviamo le stesse sensazioni che provate voi. Sentivamo il bisogno di avere di nuovo intorno degli esseri umani, degli alberi, degli animali. Insomma, sentivamo nostalgia insomma di ciò che c'era una volta sulla Terra. Nonostante la nostra potenza, non siamo però in grado di ricreare tutto. Forse perché non lo abbiamo apprezzato abbastanza quando esisteva. Voi invece potete farlo." Si spostò velocemente sopra Eno. "Uno di voi è in grado di creare. Abbiamo sviluppato una gamma di microonde capaci di donare agli uomini un'incredibile capacità, quella di far nascere la vita."
Lo psichiatra s'avvicinò alla sfera. "E che sarà di noi dopo che lui avrà ricreato la Terra?"
"Rimarrete qui," rispose la sfera. "Ma non avrete più il dominio sulle macchine. Non lavorerete, non produrrete, non amerete. Non farete più nulla di ciò che facevate prima. Dovrete limitarvi a rendere piacevole la nostra esistenza."
"Dì la verità," continuò lo psichiatra. "Tu non sei soltanto una macchina."
Marillio guardò la sfera che ruotava sopra di lui e l'accostò all'immagine che per tanti giorni l'aveva ossessionato. La sfera non aggiunse altro. Tornò all'interno della costruzione.
"Continua con questa storia di Dio?" chiese Marillio allo psichiatra.
"Chi altri potrebbe averci inoculato il virus della speranza per farci tornare in superficie e farci diventare degli schiavi?"
Marillio allargò le braccia. "Dimentica che siamo tornati qui perché laggiù saremmo morti."
"È stata soltanto una messinscena, probabilmente."
"Lasci perdere. Dio o il diavolo o chissà cos'altro, l'importante è che siamo vivi."
Lo psichiatra guardò Dega. "Vivi, ma schiavi."
Dega non rispose. Stava osservando Eno che già cominciava la sua opera, e Ietra che gli andava dietro e rideva ad ogni sua nuova creazione.



© 2002 - Roberto Frini


ROBERTO FRINI è nato a Milano. Ha pubblicato le raccolte "Show-girl da combattimento" (Abastor), "Schizzi di sangue", "Brividi" e il racconto lungo "Il mercenario" (Edizioni Ghost). Suoi lavori sono apparsi su Lore, Subway, Nuovi Mondi, Anonima Gidierre, Ghost News, Planet Ghost, Il Foglio Letterario, Mongoloid, sui siti del Foglio Letterario, del Club Ghost, del movimento Neonoir, su HorrorCult, Crislor 999, Maltese Narrazioni, Petali Neri, Scheletri.com, Il Luna Park dell'Orrore, Lo Scrigno dei Pensieri. Ha partecipato alle raccolte collettive "Torture cerebrali", "Paura", "Bizzarro show", "Ultimi morsi", "Guru Meditation", "Spasmo" e "Sexyhorror" (Edizioni Ghost). Sempre per il Ghost ha curato l'antologia "Io medesimo sono l'inferno". Ha scritto articoli per la rivista Videodrome e collabora con Nocturno Cinema, Quarto Potere e con il sito del Club Ghost. Si occupa delle recensioni letterarie per HorrorCult. Ha fondato l'associazione culturale Extravaganza ed è direttore responsabile della rivista FantaZona. . Il suo primo, vero racconto risale al 1991. Da allora ha scritto quattro romanzi (ma i primi due li considera delle prove), più di ottanta racconti, soggetti, sceneggiature, radiodrammi (per la Radio Svizzera Italiana) e testi teatrali.
E' presente in questo sito anche nella sezione "Black Rider - Il cavaliere nero, progetto di scrittura".

vai a casa