"GENGIS KHAN vol.1 - IL FIGLIO DEL CIELO" di Franco Forte (Mondadori, 2000) |
"GENGIS KHAN vol. 2 - L'ORDA D'ORO" di Franco Forte (Mondadori, 2000) |
"PRONTUARIO DELLO SCRITTORE" di Franco Forte (Solid Books, 2003) |
"OMBRE NEL SILENZIO" di Franco Forte e Luigi Pachi (Solid Books, 2002) |
LA NOTTE DELL'INQUISITORE (stralcio)
di Franco Forte
Uno stralcio del nuovo romanzo di Franco
Forte, "La notte dell'inquisitore",
un giallo di stampo storico ambientato nella
Milano del 1570, dominata dalla figura dell'arcivescovo
Carlo Borromeo, avente come protagonista
Niccolò Taverna, notaio criminale presso
il Tribunale di Giustizia della capitale
del Ducato.
Alto, di soli 27 anni, con il naso forte
e i capelli neri ben rasati, il mento glabro,
Niccolò sapeva di essere un giovane avvenente.
Eppure, di fronte all'eleganza e alla sofisticata
ricchezza d'abbigliamento sfoggiata dagli
uomini che lo fronteggiavano, si sentì come
un contadino giunto in città per una festa
solenne.
Mentre esaminava i suoi superiori, si pentì
di non avere indossato qualcosa di più dignitoso.
Il Capitano di Giustizia, l'Ufficiale di
Sanità e il Vicario del Capitano, al contrario,
sembravano fare a gara in quanto a sfoggio
di eleganza.
Il Capitano, l'illustre Giacomazzo Valente
da Bruges, ostentava brache di seta alla
sivigliana, molto grandi e comode, e un saglio
con ricca abbottonatura fino al collo dove,
all'orlo del colletto di stoffa, si allargava
una candida lattuga di lino pieghettato.
Lo zuppone, indossato secondo i dettami della
moda sotto il saglio, era d'un ricco e abbacinante
tessuto ricamato d'oro.
Accanto a lui, l'Ufficiale di Sanità, l'austero
e impettito Augusto Pace Callieri, vestiva
alla maniera dei dottori in medicina. Sopra
a tutto portava una toga nera lunga fino
a terra, con le maniche aperte, di un tessuto
che doveva essere ormesino di Fiorenza, costosissimo
e raffinato. Sotto, indossava una veste di
seta trattenuta in vita da una cintura lunga
fino a mezza coscia, con pesanti fibbie d'argento.
Concludeva il tutto un elegante paio di calzette
di seta nera e, ai piedi, pianelle di morbido
panno. In testa, sopra i capelli lunghi e
ben curati, calcava una canevaccia di seta
arricciata con un cordone d'oro e perle,
che conferiva alla sua espressione un'aurea
di severa intransigenza.
Dei tre, il Vicario del Capitano di Giustizia
era l'uomo di minor grado e prestigio, eppure
lo sfarzo del suo abbigliamento faceva pensare
il contrario.
Don Guglielmo Fedele Pescanti, giovane di
buona famiglia imparentata con i Farnese,
ambiva all'incarico di Capitano, forse anche
di Gran Cancelliere, e non si faceva scrupolo
nel mostrarsi sempre un passo avanti ai superiori,
in fatto di eleganza e sfrontatezza.
Per l'occasione indossava un raffinato saglio
con intagli, un sajone di raso e calze di
scarlatto. Dalla scollatura quadrata del
saglio spuntava il colletto di una camicia
moresca elegantemente arricciata. Le calze,
di panno foderato di roverso, in finissimo
tessuto scarlatto, scendevano fino al ginocchio,
dov'erano legate e trattenute a sbuffo da
due piccole sciarpe di seta. Ai piedi calzava
moderni borzacchini di media altezza, molto
larghi in punta.
Nel complesso, i tre incutevano soggezione,
e senza volerlo Niccolò si ritrovò a inchinarsi
nervosamente in segno di rispetto.
- Notaio Taverna, vi stavamo aspettando!
- esordì il Capitano di Giustizia con voce
potente, mentre accanto a lui l'Ufficiale
di Sanità si passava un fazzoletto profumato
e orlato di trine sotto il naso. Soltanto
in quel momento Niccolò avvertì l'odore intenso
e dolciastro che ammorbava l'aria, ma ancora
non si sentiva abbastanza a suo agio per
potersi concentrare nell'esame del luogo
del delitto.
- Scusate il ritardo - disse con il massimo
contegno, - ma questa mattina contavo di
risolvere un caso importante. Forse ricorderete
il furto del candelabro del Cellini dal coro
del Duomo.
- Il candelabro di chi? - chiese sorpreso
il Capitano.
- Benvenuto Cellini, mio signore, celebre
maestro fiorentino.
- Quello del Perseo?
- Esatto, mio signore.
Il Capitano di Giustizia fece un cenno vago
con la mano. - Me ne hanno parlato, ma ancora
non ho avuto occasione di vederlo.
- Bah - intervenne il Vicario con una smorfia,
- non vi perdete nulla, ve l'assicuro. Quel
Cellini è un volgare imitatore del Buonarroti.
- In realtà… - cercò di ribattere Niccolò,
ma il Vicario lo interruppe bruscamente.
- Dimenticate i casi che avete in arretrato
- ordinò. - Ora dovrete concentrarvi su questo
omicidio, e impegnarvi con tutte le vostre
forze per risolverlo al più presto.
Niccolò respirò a fondo, cercò di calmarsi,
poi annuì. Era inutile addentrarsi in discussioni
con quell'uomo, famoso per avere a cuore
una sola cosa: la carriera tra le massime
autorità del Ducato. - Il mio assistente
mi ha parlato di un delitto - disse. - Potrei
sapere chi è la vittima?
- Un uomo estremamente importante e influente
- intervenne il Capitano di Giustizia riprendendo
le redini del gioco. - Ma non c'è bisogno
di aggiungere altro. Guardate voi stesso.
Giacomazzo Valente da Bruges si fece da parte
con mossa teatrale, rivelando un corpo arrovesciato
a terra. Niccolò si avvicinò lentamente,
cercando di cogliere tutti i particolari
che i suoi occhi potevano registrare, e infine
si inginocchiò accanto al cadavere. L'uomo
indossava una lunga cappa nera con cappuccio,
priva di motivi ornamentali e di bottoni
o puntali ingemmati. Nel cadere a terra il
cappuccio gli aveva coperto il viso, e Niccolò
indugiò un istante prima di sollevarlo.
Per abitudine sapeva che le prime impressioni
che ricavava dalla scena di un delitto erano
molto importanti, se non essenziali per la
risoluzione dei casi più difficili. E quello,
oltre che difficile, sembrava anche spinoso,
da trattare con molta cautela.
Si guardò attorno e vide che il cadavere
giaceva a poco più di due metri dalla porta
d'ingresso, con la testa puntata verso oriente
e i piedi a ovest, solo leggermente scomposti.
Non si scorgevano tracce di sangue, e le
mani dell'uomo erano ancora infilate in sottili
guanti trinciati che lasciavano intravedere
le dita pallide e alcuni enormi anelli dorati.
Non c'erano armi abbandonate sul pavimento,
a parte una semplice corda del tipo di quelle
usate per legare i sacchi di farina. Niccolò
non la toccò, ma si ripromise di farla archiviare
da Tadino tra i reperti della scena del delitto.
L'appartamento si componeva di un'unica stanza,
lunga una decina di metri e larga la metà.
Sul fondo, a sinistra, c'era un pagliericcio
dal quale sporgevano le lenzuola disfatte
e quelle che, a prima vista, sembravano bende.
Bende sporche della stessa materia viscida,
simile a fango, che qualcuno aveva gettato
sui muri della casa.
L'altro giaciglio, disposto contro la parete
nord dell'appartamento, era nelle stesse
condizioni, ma non si scorgevano bende o
i segni che vi avesse giaciuto un malato.
- Che cosa aspettate? - chiese irritato don
Guglielmo Pescanti. - E' morto. Non può farvi
nulla.
Niccolò si trattenne dallo scoccare un'occhiata
irritata al superiore, e finalmente si decise
a scostare il cappuccio dal volto del cadavere.
Quello che vide lo lasciò esterrefatto.
- Lo riconoscete? - chiese il Capitano di
Giustizia.
- Naturalmente - rispose Niccolò con un soffio
di voce. - Quest'uomo è padre Bernardino
da Savona, famoso canonista e giureconsulto.
- Sollevò gli occhi verso il Capitano di
Giustizia. - Commissario Inquisitoriale presso
il Sant'Uffizio di Milano.
- Dunque vi rendete conto della gravità della
situazione - affermò il Capitano passeggiando
nervosamente avanti e indietro, con le mani
intrecciate dietro la schiena.
La sua non era stata una domanda e Niccolò
non rispose. Si limitò a osservare il segno
lasciato dalla corda sulla gola del prelato,
e ne dedusse che l'uomo era morto strangolato.
Ma spostando il cappuccio aveva messo in
mostra anche alcune gocce di sangue che sembravano
proseguire sotto il corpo dell'inquisitore.
Lentamente, cercando di mantenere il corpo
nella posizione originaria, Niccolò sollevò
la spalla di Bernardino da Savona per guardare
sotto.
- E' stato pugnalato al cuore - rivelò il
Vicario. - Probabilmente con uno stocco a
quadrello.
Niccolò lanciò un'occhiata al superiore.
- Il corpo è stato spostato? - chiese.
- I miei uomini hanno compiuto un'indagine
preliminare - rispose don Guglielmo. - Poi
hanno rimesso tutto esattamente come prima.
Niccolò fece una smorfia. Sapeva come lavoravano
gli sbirri del Vicario, e aveva ben poca
fiducia nella loro pignoleria e discrezione.
- Avete esaminato anche il resto dell'appartamento?
- chiese, mentre sollevava il corpo fino
a poter vedere il punto d'ingresso dello
stocco. In effetti si trattava di un colpo
portato direttamente al cuore, ma era sgorgato
poco sangue, che aveva macchiato ma non intriso
la camicia indossata dall'inquisitore.
- Naturalmente - rispose il Vicario.
- Avete interrogato i vicini?
- Di questo potrete parlare più tardi - intervenne
bruscamente il Capitano di Giustizia. - Per
il momento, vorrei che fosse chiara una cosa.
Niccolò si alzò e si mostrò attento. - Vi
ascolto, eccellenza.
- Bernardino da Savona era un uomo importante,
stimato dallo stesso arcivescovo Borromeo
e dal Governatore. Pretendo che si faccia
luce al più presto sulle cause della sua
morte, ed esigo rapporti dettagliati sullo
svolgimento delle indagini. - Niccolò annuì
impassibile. Se non altro, sapeva di poter
rifilare quella grana a Tadino. - Il Vicario
don Fedele Pescanti vi ragguaglierà su quanto
hanno scoperto i suoi uomini nell'indagine
preliminare e voi, d'ora in avanti, terrete
stretti rapporti con lui, che mi riferirà
tutte le novità del caso. Desidero velocità,
precisione e discrezione. - Fissò intensamente
Niccolò. - Soprattutto discrezione. E' chiaro?
- Farò come vostra signoria ordina - rispose
Niccolò inchinandosi.
Il Capitano di Giustizia restò a guardarlo
ancora per qualche istante, poi fece un cenno
all'Ufficiale di Sanità, che non aveva detto
una parola e si era limitato ad annusare
il fazzoletto profumato, e insieme uscirono
di buon passo dall'appartamento.
Rimasto solo con il Vicario, Niccolò cercò
di farsi forza. Nonostante la sua smania
di interrogarlo per strappargli più informazioni
possibile, sapeva che doveva essere diplomatico.
Era chiaro che gli sbirri del Capitano erano
intervenuti non appena avevano saputo dell'omicidio,
e se avevano scoperto qualcosa di importante
che potesse essere compromettente per qualche
personaggio di rilievo (ipotesi quanto mai
fondata, vista la caratura della vittima),
Niccolò era certo che se lo sarebbero tenuto
per loro. Ma se voleva risolvere il caso,
aveva bisogno di ogni elemento utile, anche
il più compromettente e imbarazzante. E dunque
doveva riuscire a lavorarsi il Vicario con
abilità e circospezione.
- Mi avete fatto una domanda - esordì subito
don Guglielmo Fedele Pescanti, - ma prima
lasciate che vi dia qualche ulteriore ragguaglio
su questa deprecabile faccenda.
Adesso che non doveva più misurarsi con il
suo superiore, il Vicario era più a suo agio:
si muoveva a passi lenti e sciolti per la
stanza, scavalcando di tanto in tanto, con
assoluta noncuranza, il corpo di Bernardino
da Savona.
- Voi non siete stato scelto a caso, immagino
vi sia chiaro - affermò, costringendo Niccolò
a fare uno sforzo per trattenere un singulto.
- La vostra famiglia vanta nobili discendenze,
anche se nessun titolo vi compete per una
strana bizzarria del destino.
- Non credo che le sventure della mia famiglia
abbiano pertinenza con il caso - ribatté
Niccolò, irritato suo malgrado. Era risaputo
che i titoli nobiliari dei Taverna si erano
esauriti in matrimoni scellerati, e lui,
Niccolò, era proprio il prodotto di una di
queste unioni.
- Forse è così - ribatté il Vicario, - ma
nonostante ciò, ci tenevo a dirvi che io
e il Capitano abbiamo grande fiducia nelle
vostre capacità, e se vi affidiamo il caso
è solo perché, vista la sua delicatezza,
abbiamo bisogno del nostro uomo migliore.
- Vi ringrazio - disse Niccolò a denti stretti,
ben sapendo che il Vicario mentiva. Probabilmente
lui non era il loro uomo migliore, bensì
il più sacrificabile, carne da mandare allo
sbaraglio in quell'indagine delicata e difficoltosa.
- Che mi dite, comunque, dei proprietari
di questa casa? Immagino non sia l'appartamento
di Bernardino da Savona.
- No, naturalmente - rispose don Guglielmo.
- La casa è abitata da una certa Maddalena
Righi e da suo figlio Marcello, di ventidue
anni, artigiano vetraio.
- Dove sono?
- Non lo sappiamo. L'ufficio di sanità ha
ricevuto una segnalazione questa mattina
all'alba per un caso di peste, e quando i
gendarmi sono accorsi hanno trovato il corpo
di Bernardino da Savona. L'Ufficiale di Sanità,
che è stato il primo ad accorrere, ha avvertito
immediatamente il Capitano di Giustizia.
- Chi ha sporto denuncia? - chiese Niccolò
memorizzando tutte le informazioni.
- Il garzone di un fornaio. Passando, ha
visto i segni degli untori, ha dato un'occhiata
al portone d'ingresso, è salito al primo
piano, ha visto la porta aperta dell'appartamento
ed è corso subito ad avvertire le autorità
sanitarie.
- L'avete interrogato?
- Non sa niente di più oltre a quello che
vi ho detto.
Niccolò annuì. Per una volta era disposto
a credere al Vicario, anche se non avrebbe
rinunciato a interrogare di persona il garzone.
- Comunque, gli altri abitanti del palazzo
hanno confermato che il ragazzo, Marcello
Righi, era malato di peste - continuò il
Vicario. - E' morto questa notte, e i monatti
l'hanno portato via con il buio.
- E la madre dov'è finita? - chiese Niccolò.
Don Fedele si strinse nelle spalle. - Forse
al lazzaretto. O in chiesa, a piangere per
l'anima del figlio.
- Non l'ha cercata nessuno? - chiese sorpreso
Niccolò.
- Naturalmente l'abbiamo fatto, ma ancora
non ce n'è traccia. Se i miei uomini la troveranno,
ve lo faremo sapere.
Niccolò sbuffò, questa volta senza curarsi
di nascondere l'irritazione. - Pretendo si
essere messo al corrente di tutti i particolari
- disse, con più impeto di quanto sarebbe
stato necessario. - Se devo risolvere il
caso, non posso farlo aspettando che voi
o i vostri uomini mi mettiate al corrente
di quello che state facendo.
Il Vicario lo guardò attentamente, con un'espressione
cupa, poi finalmente annuì.
- D'accordo - disse. - Avete ragione. Vediamo
di ricapitolare.
Ricominciò a passeggiare avanti e indietro,
imitando la postura che aveva tenuto il Capitano
di Giustizia.
- Dagli interrogatori dei vicini abbiamo
scoperto che in questa casa abitava un ragazzo
malato di peste, Marcello Righi, insieme
alla madre, Maddalena. Questa notte il ragazzo
è morto, e i monatti sono venuti a prenderlo.
Poi, appena prima dello spuntare dell'alba,
un garzone di fornaio avvisa le autorità
di un possibile contagio dopo che ha visto
la casa imbrattata dai segni degli untori.
Al sopraggiungere dei gendarmi, viene trovato
il corpo dell'inquisitore Bernardino da Savona,
aggredito probabilmente da due uomini contemporaneamente,
uno da tergo, che gli ha stretto una corda
al collo per tenerlo fermo, e l'altro di
fronte, con uno stocco a quadrello che gli
ha trafitto il cuore e l'ha ucciso. L'identità
degli assassini è ovviamente sconosciuta,
e nessuno dei vicini ha visto o sentito niente,
ma il fatto che addosso al cadavere non sia
stata rinvenuta alcuna borsa contenente denari,
fa supporre che l'inquisitore sia stato vittima
di una ruberia. Maddalena Righi è, per il
momento, introvabile, e da quello che ci
risulta non c'è nessun collegamento tra gli
abitanti di questo palazzo e il Commissario
Inquisitoriale. - Il Vicario si fermò e osservò
Niccolò, soddisfatto della sua esposizione.
- Questo è tutto quello che so. Ben poco,
me ne rendo conto. Il mistero è fitto, e
ora tocca a voi occuparvene.
- I vicini? - chiese Niccolò. - Li avete
interrogati?
- Naturalmente - rispose il Vicario con sussiego.
- Posso sapere chi sono?
- Nell'appartamento di fronte, su questo
stesso piano, abita un vecchio orefice, che
vive da solo e lavora in casa. Al piano di
sopra ci sono una famiglia composta da marito,
moglie e tre figlie piccole. Accanto c'è
una vedova, non ne ricordo più il nome. Vive
con lei la figlia Isabella. - Il Vicario
fece un sorriso. - La sola persona interessante
di tutto il palazzo, a dire il vero. Escluso
naturalmente sua eccellenza Bernardino da
Savona.
- Tutte queste persone sono a mia disposizione?
- chiese Niccolò.
- Naturalmente. E' stato ordinato loro di
rimanere in casa per tutta la giornata. Se
lo desiderate, posso predisporre un servizio
di guardia armata per…
- No - lo interruppe Niccolò, - non ce n'è
bisogno. Ci penseremo io e i miei uomini.
- Bene - annuì il Vicario. - Allora è tutto.
Niccolò fermò don Guglielmo indicando tutt'intorno
con un gesto circolare del braccio.
- Non c'era nessun altro? - chiese.
- Che cosa intendete dire?
- Possibile che il Commissario Inquisitoriale
si aggirasse da solo per la città di notte?
Non aveva neppure un crocesignato, con lui?
Nessuno a fargli da scorta?
Il Vicario si strinse nelle spalle. - Noi
non abbiamo trovato nessuno - rispose. -
E comunque non ci vedo nulla di strano nel
fatto che l'inquisitore possa essersi allontanato
da casa senza scorta. - Fissò intensamente
Niccolò. - Avrà avuto i suoi motivi. E mi
aspetto che voi, notaio, scopriate quali
sono.
Senza lasciare il tempo a Niccolò di ribattere,
don Guglielmo si diresse verso la porta.
- Tenetemi costantemente informato - ordinò.
- E mi raccomando, siate il più discreto
possibile.
Detto questo se ne andò, portandosi dietro
tutti gli sbirri che componevano la sua scorta.
Niccolò restò per qualche istante a fissare
la porta spalancata, poi allargò le braccia
e disse, con un sospiro: - Mettiamoci al
lavoro.
Franco Forte è nato a Milano nel 1962. Giornalista professionista,
traduttore, sceneggiatore e consulente editoriale,
ha pubblicato i romanzi Il figlio del cielo
(Mondadori, 2000), L'orda d'oro (Mondadori,
2000), China killer (Marco Tropea, 2000),
Gli eretici di Zlatos (Nord, 1990) e l'antologia
Chew 9, la droga del benessere (Keltia, 1996).
Per Solid srl, la casa editrice di cui è
direttore editoriale, ha pubblicato "Il
Prontuario dello scrittore" (2002),
un manuale di scrittura creativa per gli
autori esordienti, e il romanzo "Ombre
nel silenzio" (2002), insieme a Luigi
Pachì. Come sceneggiatore ha realizzato alcune
puntate di fiction televisiva per la Rai
e due sceneggiati tv per una produzione Mediaset
/BBC di Londra. Ha curato antologie per Mondadori,
Stampa Alternativa, Editoriale Avvenimenti
e ha tradotto opere di Walter Jon Williams,
Donald E. Westlake e Falko Blask.
www.franco-forte.itl
"MILLENNIO - I MONDI DI DELOS 2" a cura di Franco Forte (LiberSapiens, di prossima pubblicazione) |
"TERZO MILLENNIO" a cura di Franco Forte (L'Altra Italia - I Libri di Avvenimenti, 1996) |
"FANTASIA" a cura di Franco Forte contiene "Sulle ali di Stinger" (Stampa Alternativa, 1995) |
"SETTE ANNI ALIENI" a cura di Franco Forte e Franco Clun antologia racconti "Premio Alien" (Solid Books, 2002) |
"CHINA KILLER" di Franco Forte (Marco Tropea Editore, 2000) | "SETTE ANNI OSCURI" a cura di Franco Forte e Franco Clun antologia racconti "Premio Lovecraft" "Solid Books, 2002) |
"STRANI GIORNI" a cura di Franco Forte e Giuseppe Lippi (Mondadori, 1998) |
"SPETTRI METROPOLITANI" contiene "Giulia" di Franco Forte (Addictions) |
"I MONDI DI DELOS" a cura di Franco Forte (Garden) |
Horror Erotico a cura di Franco Forte contiene "Rantoli nel Buio" (Stampa Alternativa, 1995) |
Cyberpunk a cura di Franco Forte contiene "Quinta dimensione" (Stampa Alternativa, 1995) |
"GLI ERETICI DI ZLATOS" di Franco Forte (Nord, 1990) |