"GAP" di Marcello Fois (Frassinelli)
TAMBURINI
di MARCELLO FOIS
Eh, capitano, questa storia inizia prima.
Lei mi vede qui in questo letto… Ma sapesse
quante guerre c'abbiamo noi nel sangue…
I - La storia inizia prima.
Questa storia inizia in un giorno di aprile
del 1829… Quando Carlo Alberto di Savoia,
principe ereditario, avvolto in un mantello
blu, osserva le coste della Sardegna dalla
prua del veliero Magnificat. Il cielo è limpido
di un bianco leggermente screziato di azzurro,
Quella terra è il carapace di un'immensa
tartaruga. A vedersi, tre miglia all'approdo,
appare persino brulla. Sua maestà tira su
con naso cesellato, forse un poco troppo
lungo, inspira l'aroma denso che emana dalla
terra ferma.
- Pare spoglia. - Dice, con la voce nuova
nuova di re in pectore, al barone Sansilvestro,
camerlengo, che gli fa da ombra qualche passo
indietro.
- Il conte Lamarmora assicura… - Attacca
lui…
Ma già lo sguardo del principe si è perso
altrove. - Che assicura Lamarmora? - Domanda
a un certo punto senza voltarsi, socchiudendo
le palpebre contro la brezza…Si è accorto
che il barone si è zittito all'improvviso
- Assicura che la vegetazione non scarseggia,
piante umili, vostra grazia, perloppiù selvagge,
ma si è provveduto a piantare abeti sulle
alture e pini sui litorali…
Intanto mentre la costa gli va incontro -
E uomini ce ne sono? - Domanda ancora sua
altezza…
- In parte civilizzati. - Si affretta ad
assicurare il camerlengo. - Nelle città di
mare. - Conclude.
D'altro non si parla sulla prua del Magnificat.
E allora questa storia inizia dal quel discorso
interrotto e da quella precisazione. Le Voyage
en Sardaigne di Carlo Alberto non è nient'altro
che il mulinare di un gatto di razza in un
cortile, in un jardin sauvage, per marcare
il suo territorio.
In giorni di tormenti, con le pariglie che
sbuffano e le balestre della carrozza che
ansimano nei tratturi dell'isola, il principe
soffre e maledice il destino di principe
che l'ha tolto ai roseti del Valentino per
un posto senza tempo.
Ma i pini ci sono e anche gli abeti e anche
gli uomini che dir si vogliano.
E ci sono ogni sorta di cose piccole, piccole
querce, cavalli piccoli, case piccole… Tutto
miniato… Cervi che sembrano levrieri e aquile
che sembrano poiane. E uomini nani… Solo
gli occhi sono grandi come perle di ossidiana.
Maggiorenti barbuti preparano accoglienze
di rustica sontuosità, spettacolini di piccoli
cavalieri su arabosardi dalle zampe corte,
cibi acidati di lardo e scelta di carni giovani
arrostite, dolci compatti come il demonio
e troppo dolci… Niente finezza di sfoglie,
tutto grossolano… Grossolano l'abbigliamento,
grossolano il portamento, grossolano l'eloquio.
Un italiano duro e cantilenante, un francese
ancora peggio… Il barone, camerlengo, fa
quel che può: anticipa, avverte, saggia…
precede.
Ma è una tortura, il principe impallidisce
e dorme male sui letti di Procuste, e la
notte i cani ululano e il vento scompiglia
i riccioli e le donne sono grevi e diffidenti.
Carlo Felice, debole di reni e di polmoni
è restato a Torino, ma ha mandato saluti
regi e abbracci per i figli Sardi. Ha mandato
il figlio suo, che sarà re anch'esso perché
la Sardegna è terra di grano, di miniere
e d'uomini. Serbatoio di braccia e di soldati
per l'Italia da farsi.
- Passa in rassegna le tue truppe - ha detto
Felice ad Alberto avanti la partenza. - Che
me li raccontano tenaci e battaglieri questi
sardi, non prestanti: botoli che azzannano
le caviglie e non si staccano, così me li
raccontano questi sardi…
E Carlo Alberto, siamo ormai ai primi di
maggio, madido di sudore, sotto la campana
di candido lino, e grossolano, che dovrebbe
ripararlo dalla canicola cagliaritana fa
un cenno col mento al marchese di Yenne.
Il marchese che per l'occasione si è vestito
alla piemontese, batte le mani perché avanzi
il suo regalo al futuro sovrano.
E' un regalo, ma anche un augurio. Un piccolo
carro trascinato da un piccolo baio col pennacchio
e guidato da un nano.
Tutto, nano compreso, sarà stivato nel Magnificat.
Quel nano si chiama Gaspare, Gaspare Cubeddu,
battezzato diciassette autunni prima nella
parrocchia di San Pantaleo a Maco Emerita,
interno…
- Questi sono i nani dell'interno… - Si affretta
a spiegare il barone di Sansilvestro.
Ma, a ben guardare, Gaspare non è molto più
basso del marchese ed è sicuramente più alto
della marchesa…
Si recluta anche una servetta da casa, donnina
senza lode e senza infamia. Un Carboncino
con lo sguardo diffidente. Sa filare, mangia
poco e dorme ancora meno. Si chiama Adelasia,
come la vedova bianca di Enzo il Normanno,
ha dodici anni… La marchesa in persona l'ha
scelta tra i dodici figli di un servo pastore
nei poderi della Trexenta. Per l'occasione
è stata lavata con la striglia, per l'occasione
porta una tunichetta grigio cenere e le scarpe,
e il tormento che ne consegue.
Sulla nave viaggiano insieme Gaspare e Adelasia:
lei per le cucine del palazzo, lui per il
carretto e il cavallino.
Ed ora si corre, perché quando si arriva
al 1830 Carlo Alberto deve fare il re e Vittorio
Emanuele, suo figlio primogenito, il principino.
Nel dicembre del 1834, proprio mentre Gaspare
sta mettendo alla biada il cavallino. Adelasia
partorisce per la terza volta: un maschietto
diosiaringraziato. Nel gennaio del 1835 al
bambino si dà un nome: Cosma come il padre
di Adelasia servo pastore. Quando Cosma finisce
i quattro mesi, Adelasia è di nuovo incinta…
Il secondo figlio lo chiamano Gonario come
il nonno paterno spaccapietre… Quando a Gonario
spunta il primo dente Adelasia è di nuovo
incinta…di Mariano questa volta… E così fino
a sette… Che è numero liturgico…
II - Il catalogo dei Capitani.
A Custoza ci andò Gonario, signor capitano.
Che aveva quattordici anni, signor capitano.
E perse la gamba senza un lamento, signor
capitano.
E come sono i capitani signor capitano:
Turr, quello che allora aveva trentacinque
anni, Bellissimo uomo, alto e diritto, con
due gran baffi e un gran pizzo scuri, e occhi
pensosi ma vigili e mobilissimi sotto la
fronte quadrata a torre.
Poi c'era il Cenni di Comacchio, uomo di
quarantatré anni, avanzo di Roma e della
ritirata di San Marino; uno tutto fremiti,
che ad averlo vicino pareva di camminar col
fuoco in mano presso una polveriera.
C'era quel povero Bandi, che cinque ferite
di piombo non poterono poi uccidere sul colle
di Calatafimi; un senese, che da giovane
aveva fatto versi, sembrati al Niccolini
degni del Foscolo. Nei suoi ventisei anni
bellissimo e forte, era sempre lieto come
se gli cantasse un'allodola in core.
C'erano il Griziotti pavese di trentott'anni,
matematico di bella mente ma di cuore più
bello ancora; e il Gusmaroli di cinquanta,
antico parroco del Mantovano, che come l'eroe
dell'Henriade andava tra quelli che uccidevano,
senza difendersi e senza mai pensare ad uccidere.
Ma il tocco michelangiolesco lo metteva in
quel gruppo Simone Schiaffino, bel capitano
di mare, biondo, assai aitante, con un petto
da contenervi cento cuori d'eroe.
Ma ecco il più bello dei capitani. Era un
biondo di trentatrè anni, alto, snello, elegante.
Si sarebbe detto che se avesse voluto volare,
subito gli si sarebbero aperte al dorso due
ali di cherubino. Parlava un bell'italiano
con leggero accento meridionale, gestiva
sobrio e grazioso come un parigino; nel portamento
pareva un soldato di mestiere, negli atti
e nei discorsi un Creso vissuto tra le delizie
dell'arte, in qualche gran palazzo da Mecenate.
Si chiamava Giacinto Carini, nome di borghesi
e nome anche di principi.
III - Il nano non piange.
Cosma partì di lì a poco. A guerreggiare
per la Russia contro la Turchia durante la
guerra di Crimea, e s'era trovato ad attaccare
la fortezza di Kars con quei soldati dello
Czar che nel '49 avevano devastato i Balcani.
Servire un barbaro per odio contro un altro
barbaro gli doveva essere stato grande strazio,
ma Cavour aveva inviato istruzioni chiare
ai rappresentanti sardi perchè si adoperassero
ovunque e comunque ad amicarsi i Russi. E
al Congresso di Parigi si avviò, siccome
lo stesso Artom ci testimonia, con il deliberato
proposito di guadagnarsi a ogni costo la
Russia: "Je m'aperçois que nous n'étions
ennemis qu'à demi: j'espère que nous serons
entièrement amis"
Ma Cosma a Kars è finito a nutrire qualche
corvo. A sedici anni.
Il nano non piange. Si è fatto bianco di
capelli: ha perso un figlio in Crimea e una
parte dell'altro figlio a Custoza. L'ha mandato
in guerra con due gambe e gliel'hanno restituito
con tre, che pare la soluzione alla Sfinge.
Qual è quell'animale che nasce cammina su
quattro gambe poi su due e infine su tre?…
Gonario Cubeddu tamburino, sardo di piemonte…
Loro lo sanno, il nano e sua moglie Adelasia
che sembra centenaria.
E chiedono dispensa al re in persona, che
tanto hanno servito patria e palazzo. Chiedono
dispensa per ritornare in Sardegna, magari
a un fazzoletto di terra brulla in riva al
mare.
IV - E gli altri cinque?
A Golfo degli aranci Gonario vuol posare
il piede. Nella terra che è sua da sempre
e li si direbbe che può morire. Ma ha solo
diciassette anni, la stessa età del padre
quando è partito.
Debile so che puzzone chene nidu… Si dice
guardando il mare… morrere non podia chene
t'aer bidu… Si dice assecondando un soffio
di maestrale.
E gli altri cinque?
Che cosa capitano?
E gli altri cinque figli del nano? Avevi
detto che erano sette i figli del nano, numero
liturgico avevi detto.
Oh, quelli… Innanzitutto tre femmine restate
a palazzo tra le cucine e le lavanderie;
poi un figlio piccolo a servizio nelle scuderie…
E Mariano che ha imparato a scrivere e fare
di conto … e' appena più giovane di Gonario,
ma già è destinato alla miniera.
V - Suez.
Anche Mariano è tornato in Sardegna. Ma non
è una terra per lui, troppo piemontese. Fortuna
che dall'interno, dalle intranne, una terra
vale l'altra. Così Mariano una mattina rientra
dal pozzo sei, quello che chiamano gurturju
e si siede per mangiare. Gonario fa cestini
di giunchi. Il nano pesca. Adelasia caccia
Mariano dalla stanza finchè non si è tolto
il carbone di dosso.
Quando la pelle gli ritorna quasi bianca
Mariano annuncia la partenza; vado a Suez
dice, vado a scavare il Canale. Che solo
i sardi lo sanno fare…
Che non tornasse ricco era già scritto…
Mariano scrisse lettere che Adelasia non
sapeva leggere e il nano ancor meno. Scrisse
lettere che Gonario diventato padre faceva
leggere ai suoi figli… Che non tornasse proprio
Mariano quello sì che era già scritto: morì
sotto uno smottamento, a combattere per il
progresso e per l'economia.
Poi morì anche il nano, che, con la vecchiaia,
si era asciugato, e pariat'un'arrangada assuttada
a bentu.
La morte arriva e se li prende
Quello che ruba non lo rende
Segnora durche che a su mele
Segnora ranchia che a su fele
La morte aspetta per la via
La morte punge e così sia
Pizzinna bella, prenda e oro
Chene ocros e chene coro
La morte è vedova e sorella
La morte ancora e sempre quella
Narami su chi ses chircande
Ca bio chi sese arribbande
La morte che non ha pensieri
La morte sembra nata ieri
Chin tecus mi cheres piccare
Ma non ti potto accuntentare…
Cosma, Mariano, Gaspare… tutti morti… E Adelasia
li segue ad occhi aperti.
VI - Dogali e Adua
Vede capitano … anche quel fratello di mio
bisbisnonno morto a Suez… insomma è da tempo
che viaggiamo… ma ora mi sa che per me è
arrivata l'ora.
Vabbé.
Lo sa che a mio bisbisnonno il suo capitano,
a Custoza, gli disse che era un'eroe? E anche
senza una gamba, e anche se era solo un tamburino.
E quello era contento… Che siamo così di
famiglia evidentemente, un po' fessi con
rispetto parlando… Che lui poi da eroe se
n'è tornato in Sardegna a fare cestini…
Mio bisnonno Luigi nacque appena in tempo
per essere in età da concepire due gemelli
e da combattere a Dogali,
26 ne morirono in quella battaglia, che era
di armati, ma anche di tafani e sudore…
26 ne morirono bevendosi l'arsura per sognare
l'Impero…
26 in un assalto solo ed erano partiti in
trenta…
26 ne morirono quel giorno… Ma quella è stata
una guerra lunga capitano…
A Dogali ventisei circondati dalle faine,
e dagli avvoltoi che li vedevano dall'altro
stretti in una buca.
26, ma mio bisnonno si salvò.
Il nipote del nano, il figlio del tamburino,
Luigi l'africano. Come Scipione o Scipio
che dir si voglia…
Da Dogali ritornò con la malaria.
E dal letto raccontava che un paese grande
ha animali grandi e alberi grandi e grandi
frutti e guerrieri strigili come le lance
che portano.
Quando la malaria parve sedata bisaju Luigi
dovette ripartire. Ancora in Africa a punire
l'Abissinia. Soldato di Crispi questa volta.
Ma sempre soldato.
Fante al corno della forca.
Carne da macello e reduce africano.
Che gli abissini lo uscrarono come un porco
grasso e buttarono le ossa alle faine.
Così un altro capitano si presentò al tamburino
e gli disse che non c'era rimasto niente
da restituire ma che suo figlio Luigi era
morto per una causa buona.
Al tamburino cominciò a prudere la gamba
che non c'era e non smise il lavoro che stava
facendo nemmeno per fargli un cenno di risposta.
Tutti i capitani sono uguali capitano…
Vogliono sapere o vogliono annunciare… Portano
lettere e dispacci… E devono dare ragioni
che non ci sono… Non è un buon mestiere quello
del fante, ma nemmeno quello del capitano,
capitano.
Ed io oggi non vorrei essere al suo posto,
ma nemmeno al mio.
VII - Cani da Battaglia.
Dei figli gemelli di Luigi l'africano, figlio
del tamburino, figlio del nano… Uno, Paolino,
se lo portò via la Spagnola (che era una
bella signora che voleva i figli altrui,
sorella della Guerra) a tre anni. L'altro,
Giannetto, che aveva appena visto il padre,
crebbe… E si fece la campagna di Libia, la
prima, quella dell'11.
Due anni prima avevano seppellito il tamburino
Gonario Cubeddu, eroe di Custoza.
Giannetto è il padre di mio padre capitano.
Lui in Libia ci andò per vedere gli alberi
grandi e le bestie del diluvio, poi ci andò
per il pane da mangiare… Poi ci andò perché
era un cane arraiolato. Schiumante di rabbia
e troppo povero per campare i suoi figli…
Di guerra in guerra mandava la diaria…
Sardi mastini di gran possa, voci
Nell'ombra formidabili, mastini
Di quel buon sangue antico, che gli atroci
Padri aizzaron contro i Legionari:
Alani di Orzulè, barbaricini
Doghi cogitabondi sanguinari:
Cani di Fonni, vigili sui monti
Deserti al passo dei rapinatori:
Pugnace razza, implacabili, pronti
Sempre all'assalto, come l'aura lievi,
Seguaci come l'ombra, negli orrori
Delle notti ventose, tra le nevi,
Soli compagni al nomade e al bandito:
- Il bandito nel fiero odio tenace
Richiama il suo fedel dogo nutrito
Di strage: Murazzanu, Sorgolino,
Leone, Traitor! Ma più gli piace
Il nome fratricida di Caino.
Cani di tutta l'isola, al pastore
Presidio ed all'armento, dalle acute
Zanne bramose a sradicare il cuore,
Ecco: la Guerra suona la diana,
la cacciatrice chiama le sue mute
Alla gran caccia, come alla bardana…
Un po' fessi capitano l'ho già detto…
VIII - Chi l'ha gherrau chin sa mitragliatrice…
Trento Trieste e Pola chi l'at gherrau Giannetto
chin sa mitragliatrice.
Così si passa alla Guerra delle guerre, capitano.
Alla madre di tutte le guerre… Tutto il resto
è stato esercitazione. Giannetto partì con
centomila, nel 15 verso il Veneto.
Il Veneto ci ha accolto come non potrà mai
concepire chi non è stato presente. Un popolo
intero, saturo di entusiasmo, indirizzava
ai fanti di Sardegna i fiori più belli del
proprio giardino, riconoscenza infinita e
amore traboccante… I veneti facevano a gara
per riuscire a portarsi nelle proprie case,
nell'intimità delle famiglie, i piccoli,
e bronzei bianco-rossi, i "sassarini".
Non v'era borghese che, in quelle giornate,
non si vantasse con vero orgoglio e con profonda
soddisfazione, di aver ospite sotto al proprio
tetto ed alla propria mensa per lo meno uno
dei nostri gloriosi fanti di Sardegna…
Si sentivano e si coglievano al volo, attorno
ai tavolini di un caffè o fra i crocchi,
nelle piazze, discorsetti di questo genere:
- Mi ghe n'ho do.
- Bravo ti, mi ghe n'ho siè
- Caro ti, cosa vostu che diga: mi ghe n'ho
do soli, ma i gh'a una spazzola che vale
per diese
- Non per nulla i x'è sassarini purosangue
- I x'è i megio putei che g'avemo, ciò…
Che epopea fu! Nelle trincee pronti da sepellire.
Esercito per la patria, Brigata Sassari,
Granatieri di Sardegna, Carabinieri del Regno,
carne da guerra…
Pedine degli scacchi, capitano…
Nel 1918 mio nonno Giannetto Cubeddu mentì
alla madre. Deportato dagli austriaci fatto
prigioniero e poi restituito allo scherno
della patria tra i vilgiacchi di Caporetto
si fece scrivere una lettera per la famiglia:
Trieste 16 dicembre 1918
Mamma cara,
troppi problemi ancora! E chissà per quanto
tempo mi terranno lontano da te e dagli affetti.
Ma hai un figlio soldato...
Qui è tutto da fare. Il governo degli austriaci,
o dei crucchi, come celia il Tenente Colonnello
Ortu, ha lasciato una situazione che necessita
vieppiù del nostro ausilio. Ausilio che non
è venuto a mancare: i nostri genieri e carpentieri
si danno a ricostruire per una volta!
La città è magnifica. Il clima resta mite
seppure qualche fiocco di neve, spinto in
costa dalle montagne, imbianca di una patina
sottile le strade.
I triestini sono cordiali. Hanno aspettato
con trepidazione questo momento e ora le
vie e le piazze sono tutte uno sventolio
di tricolori.
Saresti sorpresa nel vedere la grandiosa
semplicità del posto: bei palazzi, belle
e ampie strade posti su un lembo collinoso
di un verde smeraldino che si butta in mare...
Divago, ma è solo l'entusiasmo di poter chiamare
Italia , Patria, anche questa striscia di
terra che abbraccia l'Adriatico quasi a definirne
l'origine stessa.
Nella tua ultima lettera chiedi notizie del
mio stato di salute: ora sono in pace, solo
questo. Ed è corroborante più di un buon
pasto, ma per tua tranquillità accludo a
questa mia un'istantanea di me medesimo davanti
alla chiesetta di San Spiridione che ha qualcosa
della nostra Parrocchiale. Perciò ho chiesto
al caporale Floris, che ad ogni lettera mi
impone di esternarti gli effetti della sua
incondizionata stima, di farmi da complice,
e chi sennò?, per questo ritratto in piedi
con tanto di ghette, baffi e drappelle, con
uno sfondo che potesse a un tempo darti conto
del mio stato fisico e della mia vicinanza...
Per il resto non mi affatico, non temere,
sono accudito oltre ogni dire e faccio pasti
regolari; mi impongo almeno un'ora di moto
al giorno, giusto per muovere il piede offeso
dalla granata come sai. Ti sia di consolazione
sapere che sono ormai due mesi che non necessito
più del bastone. Ti sia di consolazione sapere
che ho cercato in ogni momento di non disattendere
alle speranze che tu avevi riposto in me.
Anche se, qualche volta ho come la certezza
di averti deluso e di averti arrecato solo
ambascie e preoccupazioni, ma ora, mentre
scrivo, riesco a pensare che tutto quello
che andava fatto è stato fatto, fino in fondo...
Capirai, come io ho capito da te, che di
fronte a certe scelte non ci si può tirare
indietro; e, forse, potrai approvarmi...
Ma continuo a divagare e mi rendo conto che,
così facendo, corro il rischio di spaventarti
inutilmente con le mie elucubrazioni: sta
sicura il tuo figlio maggiore non ha perso
senno e comprendonio, ha il capo ben saldo
sulle spalle e ti fa giuramento solenne di
restare fedele a sé stesso in un modo o nell'altro!
Così ti lascio: ho molte cose da fare ancora.
In quanto al rientro nella nostra bella Sardegna
se ne parlerà a tempo debito...
Resto sempre il tuo affezionatissimo figlio
Giannetto.
Ma di quel rientro non se ne poté mai più
parlare, capitano… E così mio padre a Giannetto,
suo padre, l'ha visto solo in fotografia
con la divisa del fante davanti alla chiesa
di San Spiridione…
IX - La seconda…
La seconda la fece mio padre Graziano, che
non ero ancora nato.
"Una scena drammatica si presentava
ai miei occhi: ovunque pianto, dolore e morte.
Le navi affondate, le banchine del porto
distrutte come pure erano distrutti i vari
magazzini, la terrazza Marconi, la Cattedrale
di San Francesco con l'annesso Episcopio,
l'orfanotrofio femminile delle Suore del
Preziosissimo Sangue, la sede del Credito
Italiano, il palazzo Guglielmi, la Cassa
di Risparmio, la Banca d'Italia, il teatro
Guglielmi ed il cinema Italia. Colpite anche
la tipografia Vergati, il convento dei Padri
Conventuali, il palazzo Morana, l'Hotel delle
Terme e moltissimi altri edifici ancora.
Molti uffici comunali vennero trasferiti
a Santa Marinella. "Al porto non c'era
piu traccia di quel raggruppamento di soldati
pronti ad imbarcarsi per la Sardegna. C'era
anche qualche addetto alla difesa antiaerea
al molo 7 e complementi della Divisione Sassari.
I feriti erano sparsi ovunque…"
Lì al porto di Civitavecchia, Graziano Cubeddu,
figlio di Giannetto morto a Trieste, che
era figlio di Luigi l'africano morto ad Adua,
pronipote di Gonario il tamburino mutilato
a Custoza, che era figlio di Gaspare il nano
di Carlo Alberto, perse la vista per una
scheggia di granata.
E qui miglioriamo capitano perché anche se
mio padre non poté vedere me io perlomeno
l'ho potuto vedere. Pensionato di guerra…
Lui mi ha fatto da vecchio nel 1962. E mi
ha dato un nome: Gonario…
X - Il resto lo sa…
Caporalmaggiore Gonario Cubeddu… In Somalia,
in Bosnia… ferito senza combattere. Avvelenato
dalla povertà. Consumato dalla leucemia…
A conferma che il rischio nucleare, tutt'altro
che scongiurato, ha già superato i limiti
di guardia (allegati 1 e 2), scoppia ora
il caso dei soldati sardi, morti in condizioni
che fanno sospettare di contatti con materiale
radioattivo (uranio impoverito?) durante
le operazioni di pace in Jugoslavia. (allegato
3).
Il resto lo sa capitano, la ringrazio della
visita…
Marcello Fois - Roma - Bologna, Gennaio 2001
Marcello Fois (Nuoro 1960). Vive a Bologna e fa parte
del Gruppo 13 insieme a Carlo Lucarelli,
Giampiero Rigosi e altri. Ha scritto "Ferro
recente" (Granata Press, poi Einaudi),
"Falso gotico nuorese", "Meglio
morti" (Granata Press, poi Einaudi),
"Picta" (Marcos y Marcos) che ha
vinto il PREMIO CALVINO, "Sheol"
(Hobby & Work), "Il silenzio abitato
delle case" (Mobydick), "Nulla"
che ha vinto il PREMIO DESSI', "Gente
del libro", "Sempre caro"
(Frassinelli-Maestrale) che ha vinto il PREMIO
SCERBANENCO, "Sangue dal Cileo"
(Frassinelli), "Gap" (Frassinelli-Maestrale).
Testi teatrali: "Stazione" "Case"
"L'ascesa degli angeli ribelli"
"Nel Grande Paesaggio" "Il
cielo addosso" "Terra di nessuno"
"Cerimonia". Libretti d'opera:
"Cinque favole sui bambini" "Ero
e Leandro".
Il racconto qui pubblicato è stato scritto
per RADIORAI3 e andrà in onda nel programma
RICUORE (9 scrittori italiani che riscrivono
i racconti mensili del libro CUORE). Si tratta
della versione personale del "TAMBURINO
SARDO" di Edmondo De Amicis.
" SEMPRE CARO" di Marcello Fois (Frassinelli) |
"SANGUE DAL CIELO" di Marcello Fois (Frassinelli) |
"L'ALTRO MONDO" di Marcello Fois (Frassinelli) |
"FERRO RECENTE" di Marcello Fois (Einaudi) |
"MEGLIO MORTI" di Marcello Fois (Einaudi) |
"SHEOL" di Marcello Fois (Hobby & Work) |
"ILARIA ALPI - il più crudele dei giorni"
di Marcello Fois; Ferdinando Vicentini Orgnani Editore Frassinelli |
"FERRO RECENTE" di Marcello Fois nella prima edizione MetroLibri |
"PICCOLE STORIE NERE" di Marcello Fois Einadi |
"IL SILENZIO ABITATO DELLE CASE" di Marcello Fois (Mobydick) |
"PICTA" di Marcello Fois (Frassinelli) |
"SHEOL" di Marcello Fois (Hobby & Work) |