"Diabolica" a cura di Giuliano Fiocco (Solid books) |
"FINE CONTINUA" di Giuliano Fiocco (Addctions Libri) |
IL SILENTE
di GIULIANO FIOCCO
La sigaretta brucia tra le dita.
Jo si ferma, e getta il mozzicone.
La facciata romanica di S. Sofia si staglia
contro un cielo plumbeo.
Guarda in alto, dove il tetto si congiunge
ad angolo acuto con le stratificazioni cumuliformi.
Mette la mano nella saccoccia e tira una
manciata di sabbia verso l'incrocio tra via
Altinate e via S. Mattia.
Le quattro, dice lampeggiando come affetto da tic l'orologio
della Cassa di Risparmio, -6 gradi.
Un brivido gli attraversa la spina dorsale
e si scarica nell'osso sacro.
Via Altinate si stende alle spalle di Jo
come un serpente pigro che si stiracchia,
e Piazza Nievo sembra il suo gozzo rigonfio
di cibo.
Jo guarda in basso, dove la graticola separa
i suoi passi dalla fogna e sputa.
Il tempo è giusto.
Si inizia.
Gimmy sta smontando dal lavoro, turno di
notte.
Notte marcia stasera, non s'è battuto un
chiodo, neanche uno schifo di cliente che
avesse voglia di sfidare il freddo.
Si strofina le gambe malamente depilate.
Vuole così, il cliente, e il cliente ha sempre
ragione.
Ballonzolano i seni siliconati, lungo via
Paolotti. La pelle tira. Il freddo, è un
incubo bianco, il freddo.
L'Istituto di Ingegneria gli scivola accanto,
con le stalattiti di ghiaccio che tendono
verso il basso.
Tendenza comune, del resto.
Il silicone naviga nella sua guaina.
Non ci sono pensieri, è troppo presto e troppo
freddo. Poi, i pensieri hanno la brutta tendenza
a volare alti, e lui non sa se siano leggende
o meno, ma preferisce evitare di farsi scoppiare
il seno per la depressurizzazione della sua
anima.
Volare bassi, questo è il segreto.
Jo tira fuori dalla saccoccia dello sterco
secco, e lo dispone al centro del triangolo
formato da chiesa, via S. Sofia e via Altinate.
Dalla sacca prende anche una candela, da
cui è stata grattata l'immagine di S. Antonio,
una di quelle che vendono in piazza del Santo
a duemila lire.
Cade una piccola scatola di svedesi, che
lei con uno sbuffo raccoglie. Il fiammifero
trema tra le sue mani.
Accende la candela, posizionandola al centro
del piccolo cumulo di sterco.
Non ride, Jo.
Gimmy si ferma un attimo, guarda lo sportello
del Bancomat.
Sarebbe bello parlare con il Bancomat. E'
uno ricco, il Bancomat. Lui se lo sposerebbe uno come il Bancomat.
Non rompe le palle e ha i soldi.
Figli no, non ne vorrebbe dal Bancomat.
I figli hanno bisogno di una famiglia normale.
Pensa a sua madre e al vecchio. Non ride,
Gimmy.
Si passa la mano sui capelli. I polpastrelli
incontrano del muco viscido. Si guarda la
mano. Una traccia del puttan tour di stanotte di quattro stronzi.
Chissà che gli si secchi in gola.
Shampoo e doccia, bollente, che ti scava
la pelle, che ti scava l'anima. Magari.
Jo si inginocchia.
È buio e non passa nessuno.
Tira fuori dalla saccoccia una statuetta
in legno, piccola, e una foto sgualcita.
Suo figlio la guarda sorridendo. Sta morendo.
E' venuta dall'Albania per portarlo all'Ospedale
di Padova, ma non sta servendo. Lui sta morendo.
Allora, le resta solo questo, da fare: sua
nonna era un'Abitatrice dei Campi, e le ha
fatto conoscere alcune cose. Cose buie.
Jo dice le sei parole del fiume.
Il Piovego non risponde.
Dice le quattro parole del vento.
Il vento non risponde.
Dice le due parole del fango.
Il fango non risponde.
Dice la parola del cuore. Sente un sussulto.
Jo sorride e ricomincia.
Gimmy si ferma.
Il semaforo del passaggio pedonale segna
rosso.
Sfreccia una Ritmo blu metallizzato, una
105, gli sembra. Marocchi, forse. Corrono
come pazzi. Le quattro del mattino, del resto.
E' giovedì, non ci sono gli autovelox della
pula che controllano gli sfollati dalle disco
del sabato, e allora si corre. Non si può
morire di giovedì, e se si muore non si va
neanche sul giornale, e allora non ne vale
la pena.
Altra macchina che sfreccia. Quella dietro
rallenta. Una Croma metallizzata, targa PD
A e numeri a perdere. Tenuta bene, quasi.
Non voglio rogne, merda.
Il finestrino si abbassa.
Smamma, ho chiuso.
Non capisce o finge di non capire. Allunga
la mano.
Scosta la gamba, ho finito, non mi si deve toccare, cazzo.
Ho finito, ho detto. La borsa. La borsa,
cazzo.
La borsa scappa, schizza via.
Fottuto bastardo di merda.
Ci sono le chiavi di casa, la patente, una
scatola di Hard Rubber nuovi, merda. Si toglie la scarpa e la lancia. Mossa
idiota. Saltella fino alla scarpa e la riprende.
Il cuore è gonfio, e riempie gli occhi.
Jo ha le mani rattrappite dal gelo.
Ci alita sopra, e l'alito forma le figure
che lei ama.
La prima figura è sua madre, che la tiene
vicino mentre sta piangendo.
La seconda figura è suo figlio, arrivato
da qualcuno che le ha spezzato l'anima in
piccoli petali di cristallo scuro.
Adesso lui è malato, lui è all'ospedale e
manca poco tempo prima che il sole affronti
il mondo.
Jo dice le sei parole del fiume.
Il Piovego non risponde.
Dice le quattro parole del vento.
Una brezza sfiora la sabbia sparsa sul piazzale.
Dice le due parole del fango.
Il fango non risponde.
Dice la parola del cuore.
Il cuore sobbalza.
Jo sorride.
La candela si spegne. Lei la riaccende e
ricomincia.
Gimmy si ferma a metà dello spartitraffico,
si appoggia alla colonnina del semaforo e
si asciuga gli occhi.
Il rimmel sporca il clennex. Passa una macchina
e strombazza.
Vaffanculo anche a te.
Per fortuna i soldi sono al sicuro, nella
cintura in vita. Acquisto oculato dal catalogo
"D-Mail".
Fa freddo, e le mani gelano.
Gimmy soffia sulle mani.
Il fumo caldo sale.
Che strano, tutto sale e io vado sempre più
in basso.
Alza gli occhi: il retro di Santa Sofia brilla
alla luce incerta del lampione.
Dio si è dimenticato a terra qualcuno.
Gimmy pensa.
Si soffia ancora sulle mani, s'è alzata una
brezza leggera ma che ghiaccia la vita, e
l'alito caldo sale in lente volute.
Gli sembrano quelle che vedeva alzarsi pigramente
dall'incensorio, nelle messe solenni, quel
serpente di nuvole odorose che invadeva la
chiesa. Chissà perché gli torna in mente
l'attacco del De Profundis...
De profundis clamavi a te Domine; Domine,
exaudi vocem meam. Eiant aures tuae intendents
in vocem deprecationis meae...
Forse perché l'ultima volta che è entrato
in chiesa era stata per un funerale.
Carlo, ciao, e fagli sgonfiare le gomme a
quegli stronzi, se puoi.
Gimmy sospira.
Speriamo che la buttino per strada, che così
non devo rifare la patente. Nascondersi sotto maglioni voluminosi per
nascondere le forme, ogni volta che l'autorità
richiede la presenza.
Figuriamoci andare in questura per denunciare
un furto.
Non li sopporta più gli altri, Gimmy. Non
sopporta più i normali, che poi vanno da
lui, e viaggiano in Mercedes, cellulare GSM
e radica a nastro, e c'hanno l'indirizzo
della pagina web personale nel biglietto
da visita, - le strade sono uno schifo, drogati, le puttane
e poi quei culattoni, ci vorrebbe più polizia- e poi te li trovi che vogliono che gli dici
Sei un lurido porco amore mentre gli pisci addosso.
I normali che gli fottono la borsa.
I normali che vogliono che lui se ne vada
dal condominio, per carità, no per razzismo ma perché torna
a certe ore che mi si svegliano i bambini
e io poi il giorno dopo lavoro, capisce e
poi le malattie....
Fa freddo.
Gimmy ha freddo, e ha voglia di tornare a
casa. Presto. Inizia ad attraversare la strada.
Jo ha freddo, e ha voglia di tornare a casa.
Presto.
Bacia la statuetta in legno, il Silente dei
Boschi, bacia la foto di suo figlio e ricomincia
la sua nenia leggera.
Dice le sei parole del fiume.
Il Piovego, all'altezza del Ponte della Morte,
nelle riviere, vicino alla Questura dove
Jo ha fatto dieci ore di fila per il permesso
di soggiorno, s'inarca, e un'onda lo percorre,
disturbando le anatre che dormono sulle rive,
che starnazzano e infilano nuovamente la
testa sotto le ali, al riparo del grasso
sottocutaneo impermeabile.
Il Piovego scarica la sua energia nei piloni,
e strapazza le carte, e la golena sembra
piccola per contenerlo, ma è un attimo, poi
tutto si calma, e rimane solo l'odore leggero
delle alghe smosse.
Le narici di Jo si gonfiano, e aspirano.
L'aria è quella buona. Il fiume ha risposto.
Dice le quattro parole del vento.
La foto s'inarca. La statuetta traballa.
Dice le due parole del fango.
Il fango non risponde.
Dice la parola del cuore.
Una fitta violenta le percorre il lato sinistro
del corpo. La smorfia assomiglia ad un sorriso.
Rimane senza fiato per quella che sembra
un'eternità. L'alba è vicina.
Jo ricomincia.
Gimmy si stringe la giacca. Si sta alzando
un vento gelido, che violenta il cuore e
la cute. Il maglione a collo alto non gli
da tregua: l'irritazione provocata dalla
barba e dal rasoio. Ha la pelle delicata
del viso di una fanciulla, e la barba ispida
di un camionista.
La natura scherza, pensa Gimmy, e spesso lo scherzo è di cattivo gusto.
Pensa a sua madre, a quando l'ha capito.
"Il grido" di Munch riflette bene
quello che lui aveva visto quel giorno nei
suoi occhi. Non aveva più potuto guardare
un quadro di Munch, da allora, senza provare
quella nausea che aveva visto negli occhi
di sua madre. Neanche un quadro di Klimt,
del resto. La prima volta che un uomo l'aveva
usato era nei bagni della scuola, un bidello,
Alcide, nome idiota da bidello, nell'intervallo
tra la lezione di inglese e storia dell'arte.
Il professore aveva spiegato il significato
del quadro "Il bacio" di Klimt,
e lui aveva la bocca piena dei baci di Alcide,
e il corpo che bruciava. Non l'aveva voluto
lui. Non aveva potuto parlarne con nessuno.
Non aveva voluto parlarne con nessuno. Un
mese dopo si era ritirato.
E' distratto, Gimmy, mentre pensa.
I piedi si muovono da soli, mentre Gimmy
pensa.
Pensa, Gimmy, e non vede.
La Ritmo blu metallizzato ha girato all'altezza
di Piazzale Boschetti, le autocorriere come
pachidermi addormentati, e sta percorrendo
la strada in senso inverso a tavoletta.
Fhuad, Tahian, e Ben Mohamed Malaussene sono
in comunione con il loro spirito guida. Il
Ramadan è finito, e da via S. Biagio sono
usciti carichi di alcool e preghiere.
Dio arma le loro mani, e loro sono guerrieri.
L'unico infedele buono è quello morto, e
loro sono la Spada del Profeta.
Pensa, Gimmy, e non sente.
La Ritmo blu metallizzata a fari spenti,
a tavoletta, le sei bottiglie di fragolino
che rotolano tra i sedili, il canto di guerra.
Gimmy pensa, e non capisce. Inshallah.
Il colpo è violento.
Gimmy vola, il mondo sotto non ha più consistenza.
Gimmy sogna.
Il mondo è un suo satellite: Gimmy è fermo,
sospeso nel vuoto, e le stelle gli astri
la luna il lampione il marciapiede, la carta
della Golia, la piccola piantina verde che
spunta dal bordo della grata dello scarico
fognario, ruotano attorno a lui.
Il colpo è violento.
Il terreno è fresco, non è gelido, e c'è
un velo di brina che rinfresca la guance.
Adesso Gimmy è leggero.
Si rialza, non sente dolore.
Lascia una scia, Gimmy, quasi a voler ritrovare
il posto dove ha imparato a volare.
Si trascina, Gimmy, lentamente. C'è una fiamma
di candela che lo chiama.
La chiesa si è spostata all'aperto, e una
donna prega inginocchiata.
C'è il Crocefisso e la foto della Madonna.
Deve pregare, Gimmy. Se iniquitates observaris, Domine, Domine,
quis sustinebit ?...
Prega, Jo, e non vede.
Prega Jo, e non sente.
Prega Jo, e non capisce.
Ma sa che deve andare così.
Suo figlio è malato. Lei è lontana da casa.
Suo figlio deve guarire.
Dice le sei parole del fiume.
Il Piovego grida, s'infuria, schiaffeggia
le mura piantate nel limo. Le anitre si alzano
nel breve volo che a loro è concesso. I topi
squittendo si mettono in salvo. I cani abbaiano,
rotolandosi a terra. L'odore acre della putrefazione
delle alghe si innalza nel cielo a spirale.
Poi, il fiume si calma, e alcune luci si
accendono.
Jo grida.
Dice le quattro parole del vento.
La statuetta cade. La foto si alza in volo.
Lei la guarda andare. Piange, anche se non
dovrebbe. Piange anche se non vorrebbe. La
foto si posa poco lontano. Lei si trattiene,
non deve andare a prenderla. E' l'unica foto
che ha di suo figlio. Continua a pregare.
Dice le due parole del fango.
L'uomo-donna le si avvicina. Il trucco è
pesante ma l'uomo-donna sembra leggero.
Semina del suo sangue sulla strada, ma l'asfalto
non germoglia.
L'uomo-donna è dolore.
Il colore del fango gli è addosso, come una
maschera, come quella che si mettono gli
uomini quando escono e vanno alla festa dei
Silenti nel suo paese, ma nei suoi occhi
c'è solo l'uomo. C'è solo la donna.
Allunga la mano, l'uomo-donna. Un rivolo
rosso bagna la testa del Silente dei Boschi.
Una goccia di vita spegne la candela.
Il fango risponde.
Jo dice la parola del cuore.
Un bufalo la travolge e la schiaccia al suolo.
Gimmy si inginocchia.
Jo si rialza, si siede e respira pesantemente.
Il cuore ha risposto. Il Silente ha accettato
l'offerta.
La testa di Gimmy pesa, il corpo non può
più sorreggerla, anche se lui si sente libero
e leggero. Appoggia la testa nel grembo di
Jo.
Sente una mano che lo accarezza, Gimmy. E'
la mano di sua madre.
Sfiora il viso dell'uomo-donna, Jo. E' il
suo ringraziamento. L'unico possibile.
Gimmy è in viaggio, privo del bagaglio, è
in viaggio ed è felice. Per la prima volta.
Jo chiude gli occhi. Suo figlio vivrà.
L'aria attorno sa d'incenso e di sangue.
L'alba intanto sorge, e sorge sui giusti
e gli ingiusti, sulle vittime e sui carnefici,
e sui gigli ai bordi degli stagni, e sembra
tracciare parole piene di poesia con la rugiada,
ma a coloro che non sanno leggerle sembrano
solo parole.
"
...Giuliano Fiocco racconta la sua vicenda
di ordinaria atrocità con uno stile narrativo
magistrale, che talora sfiora il virtuosismo.
Credo che anche il lettore più distratto
ne resterà impressionato. E' un'altra delle
sorprese che la nuova stagione italiana del
noir e dell'horror ci sta riservando: l'apparizione
di scrittori veri, che non tentano l'ennesima
imitazione di Stephen King, di Lovecraft
o di Poe, ma si costruiscono uno stile funzionale
a ciò che intendono raccontare, e di pari
originalità.
Credo che questo romanzo rappresenti un ulteriore
approdo di questa fruttuosissima tendenza.
Il più alto che mi sia capitato di scoprire
fino a oggi.
Tenetevi forte e leggete, preparatevi al
peggio. Resterete sconvolti, ma forse concluderete
che ne è valsa la pena."
(Valerio Evangelisti - prefazione a "Fine
Continua" romanzo di Giuliano Fiocco)
Giuliano Fiocco Sono nato nel 1966. Ho scritto numerosi racconti,
editi in vari quotidiani (Il Secolo XIX,
Il Corriere della Sera) e antologie ("Cosa
facciamo questa sera?" e "Viaggi
con i mezzi pubblici di trasporto",
a cura di Giulio Mozzi ed. Il Poligrafo,
"Spettri Metropolitani" a cura
di Andrea G. Colombo ed. Addicitions, "Jubilaeum"
ed. Punto Zero, "New Economy")
e ho pubblicato il mio primo romanzo "Fine
Continua" ed. Addicitions, con la prefazione
di Valerio Evangelisti. Collaboro al vortale
Horror.it e alla rivista on line "It-Horror
Magazine". Ho curato l'antologia "Diabolica",
che verrà edita dalla casa editrice Solid
s.r.l. Sono stato finalista due volte del
premio Lovecraft e una del Premio Cristalli
Sognanti. Ho insegnato scrittura creativa
alla Piccola Scuola di Scrittura Creativa
di Padova, fondata da Giulio Mozzi. Collaboro
inoltre con la rivista d'informatica "Pc
World"
"SPETTRI METROPOLITANI" (Addictions Libri) contiene un racconto di Giuliano Fiocco |
"IT HORROR MAGAZINE" Giuliano Fiocco vi collabora |
"JUBILAEUM" (Puntozero) contiene un racconto di Giuliano Fiocco |