INCONTRI METROPOLITANI
(Colpo di Fulmine)
di Angie
tratto dal racconto "Colpo di fulmine",
finalista del premio Vaga la Fantasia - Cattolica
Mystfest 1990
Dopo anni che faccio la spesa ogni giovedì
sera in questo enorme supermercato senza
perdere un colpo - tranne il breve periodo
di vacanze estive - e senza mai aver provato,
come succede a molti, l'insana ebbrezza della
full-immersion nel tempio del consumismo
alimentare, comincio a pensare seriamente
di riprendere le abitudini del buon tempo
andato e di comprare qualcosa, giorno per
giorno, nei negozi sotto casa.
E' vero che queste poche, sopravvissute botteghe,
per reggere la concorrenza dei super-iper-extramercati,
mettono in vendita la merce a prezzi astronomici,
e offrono una ben più limitata scelta di
prodotti, ma è anche vero che non comprando
ciò che non vediamo, che non ci viene offerto
e di cui non abbiamo affatto bisogno, limitiamo
all'essenziale i nostri acquisti e così,
talvolta, riusciamo anche a risparmiare e
a migliorare la nostra dieta.
Tutti bei ragionamenti, intanto eccomi di
nuovo qui, nel solito supermercato rutilante
di luci e colori mai contemplati in natura,
ad acquistare frutta e verdura occultamente
transgenica e con una gran voglia di tornarmene
a casa a mangiare cose non comprate in questo
posto, e magari cucinate da qualcun altro.
- Ahi, stia attento con quel carrello!- infastidita
e dolorante per il colpo subito dai miei
polpacci, lancio la mia invettiva ad un tipo
che mi sta tallonando (nel senso più penoso
del termine) e che quasi non guardo in faccia.
- Mi scusi, mi dispiace davvero, mi ero distratto.
Le chiedo ancora scusa. -
Questo reiterato e convincente "mea
culpa" pronunciato da voce maschia e
fascinosa, mi induce ad indirizzare con più
attenzione lo sguardo verso l'ignoto interlocutore,
e lo sguardo medesimo mi è subito grato d'averglielo
permesso.
"Che bel tipo" penso, dimenticando
il dolore provocatomi dal suo carrello semivuoto:
alto, robusto, capelli biondo cenere appena
allungati sulla nuca e un paio di occhialini
leggeri da intellettuale appoggiati sul naso
volitivo.
Ho sempre avuto un debole per gli uomini
con gli occhiali: deve trattarsi di una specie
di inclassificabile richiamo sessuale, che
forse potrebbe paragonarsi a quello esercitato
su molte donne da un'auto di lusso, da un
paio di jeans incollati sulle gambe, o da
un giubbotto di pelle nera. Comunque è certo
che io, ad un paio d'occhiali, non so resistere.
Allontanatosi un poco, zittito dal mio imbarazzato
silenzio, adesso non fa che guardarmi, da
un banco all'altro, e abbozza un sorriso
malinconico. Forse vive solo, e starà già
pensando al suo frettoloso pasto di scapolo:
in fondo, il mio stesso problema. Gli sorrido
anch'io - io non sorrido mai agli sconosciuti-
e penso che è talmente bello che se mi invitasse
a cena accetterei senza tante storie.
Ormai non ricordo più se devo acquistare
ancora qualcosa, mi dirigo istintivamente
verso la cassa e lui si mette in fila proprio
dietro di me. Comincio a sentirmi eccitata
e anche un po' confusa.
Pago in fretta il conto dopo aver infilato
a casaccio la merce, prima nelle sporte di
plastica, e poi di nuovo nel carrello.
- Signora... -
Mi volto incerta: starà chiamando proprio
me?
- Signora, mi scusi, non è il luogo più indicato
per chiederle una cosa come questa, ma vorrei
conoscerla. Non mi giudichi male, non sono
il tipo d'uomo che normalmente
abborda le donne con un pretesto qualsiasi,
ma lei… insomma non ho potuto fare a meno
di parlarle. Se vuole potremmo vederci e
prendere un caffè insieme, magari domani.
Posso telefonarle?-
Le gambe mi tremano un poco, sarei tentata
di chiedergli se per lui andrebbe bene anche
questa sera, ma mi riprendo istantaneamente
e faccio appello a tutto il mio buon senso
per non rischiare la faccia, o peggio. In
fondo si tratta di uno sconosciuto, non posso
permettermi uno sbaglio.
- No, meglio di no. Mi dia lei il suo numero
se vuole. Poi si vedrà. - sento che la mia
voce, a sorpresa, esibisce un tono più alto
del solito e le mie palpebre sbattono sugli
occhi come nei peggiori film muti.
- D'accordo, come preferisce. Sto già aspettando
la sua telefonata. -
Intanto ha fatto uscire una penna dalla giacca
un po' stazzonata e scrive qualcosa sopra
un foglietto sgualcito, poi con un gesto
intimo e furtivo insieme, infila il pezzo
di carta nella mia borsetta.
Il mio cuore adesso batte a ritmo sfrenato
e io mi sento felice come una ragazzina al
suo primo appuntamento. Con la coda dell'occhio
lo seguo mentre, silenzioso, si allontana
da me e si dirige verso il parcheggio del
supermercato.
Rallento il passo e mi avvio nella stessa
direzione: sempre pensando a lui, alla telefonata
che certamente gli farò, a cosa dovrò dirgli
per non sembrare troppo emozionata; penso
soprattutto a quando ci incontreremo di nuovo,
noi due soli.
Nel parcheggio sono rimaste poche auto: è
tardi. Di lui nessuna traccia. Mi avvicino
alla macchina, deposito i pacchi e poi lascio
che sia l'abitudine a guidarmi verso casa.
Grazie al cielo sono arrivata sana e salva
e in un tempo ragionevole: ho fretta di entrare,
di leggere in pace quel numero, forse il
suo nome; voglio sentirmi libera di fantasticare.
Cerco le chiavi: eccole! Le trovo in un attimo,
ma la borsa mi sembra insolitamente leggera.
E il portafoglio? Dove avrò cacciato il portafoglio?
Frugo con apprensione in ogni angolo della
sacca, ne rovescio convulsamente il contenuto.
Oddio, non è possibile: non c'è. Non c'è
proprio.
Al suo posto, nell'oscura voragine della
borsa ormai vuota, soltanto un biglietto
stropicciato con una scritta disordinata
e incerta: "Mi dispiace signora, davvero."
Angie ?