"L'uomo esterno" di Alan D. Altieri (TEADUE) |
"Kondor" di Alan D. Altieri (TEA DUE) vincitore del - Premio Scerbanenco 1997 - |
CONTATTO CON IL NEMICO
di ALAN D. ALTIERI
- Movimento.
- Coordinata e distanza.
- Ore undici. Duecento… No: duecentoquindici
metri.
Kogon scivolò tra le masse metalliche sventrate,
cambiando punto di copertura, la bocca da
fuoco del fucile di precisione puntata verso
la minaccia.
- Hai acquisizione del bersaglio?
Nell'intercom ad alta frequenza, la voce
di Greenwald, Tenente Greenwald, era incrinata
dalla statica.
Kogon tenne l'occhio incollato al mirino
telescopico a scansione laser. Le coordinate
digitali della distanza e della profondità
di campo mutavano sul perimetro della lente,
simili ad assurde termiti cibernetiche.
- Negativo - disse.
Il vento gelido continuava a sibilare tra
i relitti. Nessun movimento. Forse, un movimento,
una minaccia, non erano neppure mai realmente
esistiti. Tutto quel vuoto. La mente umana
non faceva bene i conti con il vuoto.
Kogon si passò la mano guantata sugli occhiali
protettivi. Rimosse le tracce di pioggia
torbida, acida.
Il ponte era un labirinto devastato, pieno
delle carcasse dei mezzi corazzati sventrati,
l'asfalto disseminato di rottami, rivoltato
dalla lebbra dei crateri dalle esplosioni.
Più oltre, a nord del fiume morto, si stendeva
una pianura desolata, inerte.
- Kogon - Greenwald, di nuovo. - Voglio un
rapporto tattico che abbia un senso.
- Stand-by.
Kogon tornò a scrutare attraverso sistemi
di prismi del mirino telescopico. Stracci
dal colore indefinibile, residui di mimetiche
da combattimento annientate, volteggiavano
nell'aria satura di cenere in sospensione.
Parevano pipistrelli deformi. In realtà,
Kogon non aveva mai visto un vero pipistrello.
Erano estinti. Assieme alle tigri siberiane,
ai vini della Loira, alle foreste sub-tropicali
e ai musei di arte figurativa.
- Ma riesci a vederlo, il nemico? - Non Greenwald:
Valenti, il medic. - Ci riesci?
- Negativo.
- D'accordo. Tieni la posizione - era ancora
Greenwald. - Noi veniamo avanti.
- Negativo, Greenwald… Negativo! - Kogon
serrò involontariamente la mandibola. - Io
so che lui è là fuori.
Altra statica. Voci inintelleggibili, un
mormorio di spettri. Il resto della squadra
stava parlando, ma avevano bloccato i laringofoni.
- Greenwald! Non farlo!
Il mormorio di spettri s'interruppe. Greenwald,
Tenente Greenwald, aveva chiuso l'intercom.
Ufficiali. Dio non è con noi perché anche
lui odia gl'idioti.
Kogon cambiò nuovamente posizione, strisciando
lungo i ruotismi di un tank distrutto, il
metallo incrostato di lichene oleoso, putrido.
Un quarto della corazza frontale era andato
a fondersi con il cingolo di destra. La vampata
termica a milleseicento Celsius di un proiettile-razzo
PFI, Plasma-Fosforo-Incendiario, aveva liquefatto
gli strati di acciaio, titanio e resina polimerica.
Tornando a solidificarsi, il tutto era diventato
un ammasso grottesco, vagamente osceno.
Kogon frugò con lo sguardo tra i tendaggi
vagolanti di pioggia infetta. Aveva diciannove
anni. Era in prima linea da quattro anni,
sette mesi e ventidue giorni. Specializzazione:
sniper, tiratore scelto. Trentuno abbattimenti
confermati, altri quattordici probabili.
In ogni caso, nessuno dei nemici caduti probabili
si era rialzato per andarsene con le proprie
gambe. Logica della demolizione. Logica della
Guerra.
Kogon non riusciva a ricordare nient'altro.
Forse, non c'era mai stato nient'altro. Da
nessun'altra parte, in nessun altro tempo,
in nessun altro spazio.
Solamente la Guerra.
Impossibile rallentarla. Impossibile fermarla.
La Guerra E' eterna.
Kogon spostò l'arma su un altro settore di
tiro. Passi pesanti alle sue spalle. Il Soldato
Valenti, mimetica nera, elmetto Kevlar, fucile
d'assalto imbracciato, corse curvo oltre
il tank distrutto.
- Valenti! - Kogon udì la propria voce venire
fuori simile a un rantolo. - No!
Niente da fare. Valenti evitò l'orlo slabbrato
di un cratere, continuando ad arrancare tra
i detriti.
- Prendi copertu…
Lampo.
Non scese dal cielo. Sorse dal ponte: una
frastagliata folgore da qualche parte tra
i relitti.
Valenti si piegò in avanti come uno stelo
di grano reciso da una falce invisibile.
Un vortice di sangue arterioso, assurdamente
scintillante nel paesaggio a dominanti color
piombo, eruttò a mescolarsi con la pioggia
opaca. L'inerzia della corsa portò Valenti
ancora in avanti per pochi altri passi distorti.
Cadde faccia avanti sull'asfalto venato di
crepe. Le sue gambe ebbero un singolo sussulto
terminale.
Le onde sonore dello sparo si dilatarono
sul ponte.
Simili a uno strano epitaffio.
La memoria dell'inizio si era dissipata.
Doveva esserci stato un inizio. Doveva essere
esistito un luogo, un tempo, in cui una parte
si era avventata sull'altra per la prima
volta. Ma quel luogo, quel tempo, erano diventati
una specie di magma evanescente, inscrutabile.
Qualcuno, al comando supremo, sosteneva che
il punto zero non era stato una guerra vera
e propria. Non si era trattato di un assalto
di frontiera, né di un'invasione, né di un
bombardamento. L'ipotesi era un'escalation
di cieca crudeltà, d'inutile ferocia. Poi
erano venute le rappresaglie. Poi le rappresaglie
alle rappresaglie. E poi si era effettivamente
creata una linea del fronte. No: molte linee
di molti fronti simultanei.
Le convenzioni erano saltate. Le regole avevano
perduto significato. Prigionieri? Sbagliato:
nessuno prendeva più prigionieri, né da una
parte né dall'altra. L'escalation era continuata,
livello dopo livello, massacro dopo massacro,
genocidio dopo genocidio. Ineluttabile, inarrestabile.
Armi portatili.
Armi pesanti.
Armi nucleari.
I fronti si erano progressivamente sgretolati.
Adesso tutti i luoghi, e nessun luogo, erano
il fronte. E così era andata avanti. Per
anni, per decadi. Senza sosta, senza tregua,
senza pietà. Un esercito dopo l'altro, una
devastazione dopo l'altra, un cratere radioattivo
dopo l'altro.
Adesso, nella logica della Guerra, era apparso
un mutamento. Il contatto con il Nemico si
era fatto incerto, sussultorio. A combattere
parevano essere rimasti sempre di meno. Ma
nemmeno quel mutamento aveva importanza.
C'era un'unica direttiva primaria: distruggere
il nemico. Prima che fosse il nemico a distruggere
loro. E c'era anche un motivo, ugualmente
primario, per continuare a uccidere.
Un unico problema: anche di quello si era
perduta la memoria.
Tracciante-perforante, elevata penetrazione.
Aveva attraversato il torace del Soldato
Valenti da parte e parte, spezzando ossa,
squarciando tessuti viventi.
Kogon finì di trascinare il cadavere dietro
la barriera del tank distrutto. Alla cieca,
Greenwald e Jennings continuarono a sgranare
un furibondo fuoco di sbarramento in full-automatic.
Ringhiando, sibilando, il piombo ad alta
velocità rimbalzò contro le lamiere dei relitti,
vaiolate del tempo e dagli elementi.
Il Nemico? Nessuna traccia del Nemico.
Era sempre là fuori. In attesa, in agguato.
I tre soldati vivi e il soldato morto rimasero
appostati sotto la pioggia incessante, fucili
d'assalto fuori sicura puntati verso il vuoto.
Greenwald strappò piastrina da collo di Valenti.
Di colpo, si mise a tossire, come se avesse
compiuto uno sforzo immane. Un raschiare
secco, rantolo di bronchi torturati, di alveoli
disseccati. Più volte, Kogon aveva visto
bollicine di sangue gorgogliare sulle labbra
del tenente.
Niente di nuovo, niente di strano. Se non
ti uccideva il Nemico, erano il vento, l'acqua
o il cielo a farlo. Era un mondo degenerato,
quello della Guerra. Un mondo tossico, venefico.
Malattie da radiazioni, tubercolosi mutante,
epatite emorragica, peste leucemica.
Dalla logica della Guerra, non esisteva nessun
posto in cui scappare.
Non era mai esistito.
- Non hai ascoltato, tenente.
Greenwald serrò nel pugno la piastrina ancora
viscida di sangue. Non c'era nessun nome
sull'acciaio all'iridium, nessun numero di
matricola, solo un codice a barre laser.
- Non passare il limite, soldato.
- Hai staccato l'intercom in zona d'operazioni
- Kogon spinse gli occhiali protettivi sulla
fronte. - Hai compromesso questa intera squadra.
E la tua preziosa missione.
- La missione va avanti!
- Avanti dove, tenente? Fino alla prossima
carcassa? O forse fino alla prossima incrostazione
di lichene?
- Conosci gli ordini, soldato: trovare la
Zona Neutra - Greenwald indicò a braccio
teso. - Al di là di questo ponte.
- Non c'è niente al di là di questo ponte.
Niente! Solo altri crateri. Lo sai.
- Quello che io so - Greenwald puntò il fucile
d'assalto contro il torace di Kogon. - E'
che ora tu andrai a porre fine a quello sniper
nemico.
- Perché non vai tu a porre fine, tenente?
Il dito di Greenwald si contorse sul grilletto:
- Ti sto dando un ordine, soldato!
Kogon rimase impassibile. Era anche quello
un modo per uscirne.
Di colpo, Greenwald riprese a tossire, il
torace scosso da sussulti spasmici, incontrollabili.
Jennings, l'espressione distorta, sostenne
il tenente. Kogon frugò nelle giberne da
medic del cadavere di Valenti, trovò la bombola
di ossigeno compresso, avvitò il boccaglio
di plexiglas trasparente. Greenwald si collassò
contro il lichene, contorcendosi, rovesciando
gli occhi.
Kogon riuscì a piazzare il boccaglio, ad
aprire la valvola di afflusso: - Respira,
Greenwald. Forza… Respira!
Un'emulsione di sangue pallido esplose contro
l'interno del plexiglass. La colonna vertebrale
di Greenwald s'inarcò. E quello fu tutto.
La pioggia acida continuò a cadere sul bianco
dei suoi occhi, lune planetarie sradicate
delle loro orbite.
Avevano dimenticato quale era stato l'inizio.
Ma non avevano dimenticato che poteva, doveva,
esistere una fine. Il tempo degli eserciti
stava per concludersi. Tra non molto, la
logica della Guerra avrebbe vinto: a combattere
non sarebbe rimasto più nessuno. Nemmeno
da nessun'altra parte sarebbe rimasto più
nessuno.
Un sogno aveva preso forma. Un sogno, un
miraggio e una speranza. L'ultima. Un luogo
dove loro e il Nemico avevano imparato a
coesistere.
O forse imparato nuovamente a coesistere.
Le pattuglie uscivano, certo. Ma non facevano
ritorno. Niente rapporti, niente comunicazioni,
niente corpi. Forse superavano il ponte e
decidevano di restare dall'altra parte. Restavano
nel miraggio.
Nel luogo dove la Guerra aveva avuto fine.
La Zona Neutra.
Il vento era aumentato.
Correnti piene d'umidità velenosa, intrise
dell'odore dei metalli corrosi, della terra
martoriata.
- Io continuo - il Soldato Jennings tolse
il caricatore dal fucile d'assalto, verificò
i colpi rimasti, tornò a inserirlo. - Io
vado alla Zona Neutra.
- Ma non capisci? - Kogon serrò la mano guantata
a pugno. - Non esiste nessuna maledetta Zona
Neutra!
- Io vado alla Zona Neutra - la voce di Jennings
era atona, svuotata.
- E' solo un inganno, Jennings. Una frode
priva di senso per farci continuare a uccidere.
Jennings uscì allo scoperto e camminò nel
vento: - Io vado alla Zona Neutra.
- No! Jennings! Non…
Il proiettile dello sniper Nemico centrò
il Soldato Jennings al baricentro corporeo.
L'urto del piombo spinse il suo corpo a crollare
sui rottami. Il geyser di sangue in eruzione
dalla sua schiena volò a tracciare uno scaleno
rhorshach purpureo sul metallo contorto del
tank.
Kogon rispose al fuoco dopo meno di due decimi
di secondo, collimazione al lampo del fucile
dello sniper avversario. Per una qualche
assurda ragione, non udì il ruggito della
bocca da fuoco. Ciò che udì fu lo schiocco
del proiettile che passava a velocità supersonica.
Nel labirinto di relitti, qualcosa ebbe un
sussulto.
Kogon si riposizionò impercettibilmente.
Mandò il secondo proiettile a intercettare
l'ipotetica curva di caduta del Nemico.
Sul ponte ci fu solamente il vento.
Kogon scivolò tra le ombre.
Aveva il fucile di precisione di traverso
sulla schiena e la pistola in pugno, presa
bassa a due mani, posizione da assalto a
distanza ravvicinata.
Contatto con il Nemico.
Quello terminale.
Kogon continuò a muoversi nella notte imcombente,
ignorando il martellare della pioggia acida.
Superò altre svolte nel labirinto devastato
del ponte, altri crateri, altro lichene.
Raggiunse l'estremo settore nord del ponte.
Il Nemico non fece niente per fermarla.
Giaceva di traverso in un cratere poco profondo.
Due precisi fori d'entrata, parte destra
del torace, base della gola. Il sangue si
era mescolato all'acqua putrescente che allagava
il cratere, creando un amalgama di un colore
violaceo, infetto.
Kogon sparò un unico colpo, conclusivo. Il
proiettile della pistola da combattimento
penetrò nell'oculare destro del visore notturno
che copriva il volto dello sniper. All'impatto,
il cranio si sollevò d'un palmo, scrutando
per un attimo con l'altro oculare.
Lo sguardo di Kogon si spostò oltre il ponte.
Nessuna luce era visibile nelle pianura battuta
dalla tempesta. Nessuna luce brillava sulla
cordigliera oscura che sbarrava l'orizzonte
settentrionale.
La Zona Neutra?
Molto più lontano. Molto più in profondità.
Forse.
E forse no.
Kogon mise un ginocchio sul bordo del cratere,
accanto al cadavere. Allungò una mano e sollevò
il visore notturno. Espose il volto del Nemico.
La pioggia tossica riempì la caverna ustionata
che aveva preso il posto della sua cavità
orbitale destra.
Un ragazzo.
Diciassette anni a stento. Portava la dentiera.
C'erano zampe di gallina alle sue tempie.
Nient'altro che un bambino. Diventato vecchio
dopo aver saltato tutte le terre di mezzo.
Kogon si erse nel diluvio, sempre tenendo
la pistola in pugno. Si passò le dita della
mano sinistra sugli zigomi, alla ricerca
di rughe sul proprio volto. Attraverso il
cuoio del guanto, non potè sentirle. Ma sapeva
che erano là. Era anche lei una vecchia,
da molto tempo. Metamorfosi avvenuta su campi
di battaglia senza nome, combattendo una
guerra sconosciuta, nel nome di un credo
dimenticato.
La Zona Neutra continuava a essere un miraggio.
Forse lo era sempre stata. Qualcosa di diverso
dalla fine assoluta. Qualcosa in cui voler
credere.
Il Nemico era reale.
Il Nemico più primievo, più ancestrale. Tutta
la fragile struttura, tutto l'instabile equilibrio
dei millenni, avevano finito con il disgregarsi.
Uomo. Contro donna.
Donna. Contro uomo.
La prima e l'ultima di tutte le Guerre.
Kogon lasciò che la pioggia velenosa scivolasse
lungo il suo capo chino, scorrendo a essere
inghiottita dal ventre delle tenebre.
"Il più americano degli scrittori italiani" (Oreste Del Buono)
"C'è del genio nel delirio ipertecnologico
di Alan D. Altieri" (Il Giorno)
Alan D. Altieri (1952) Scrittore e Traduttore. Vive a Los
Angeles dove alterna l'attività di romanziere
a quella di sceneggiatore cinematografico
(ha collaborato, tra gli altri, a Conan il distruttore, L'anno del dragone, Velluto blu e Atto di forza). Laureato in ingegneria meccanica al Politecnico
di Milano. Ambientazioni estreme, megalopoli
da incubo, enigmi tecnologici, scenari apocalittici
e ritmo incessante sono le caratteristiche
dei suoi thriller. Ha pubblicato un'antologia
di racconti "Scarecrow - Lo spaventapasseri" (Mondadori) e diversi romanzi: "Città oscura", "Alla fine
della notte", "L'occhio sotterraneo",
"Corridore nella pioggia", "Città
di ombre", "Ultima luce",
"Kondor" (vincitore del Premio Scerbanenco al Noir
in Festival 1997), "Campo di fuoco", "L'ultimo
muro", "L'uomo esterno" e "Sniper: Victoria Cross". Membro del Writers' Guild of America,
firma tra l'altro la produzione canadese
Blind Fear (Paura Cieca), il dramma italiano Obbiettivo indiscreto e il thriller Silent Trigger.
clicca qui se vuoi leggere un articolo in
rete di Mirko Tavosanis
"SCARECROW LO SPAVENTAPASSERI" di Alan D. Altieri (Mondadori) |
"CITTA' OSCURA" di Alan D. Altieri (TEA DUE) |
"CITTA' DI OMBRE" di Alan D. Altieri (TEA DUE) |
"L'OCCHIO SOTTERRANEO" di Alan D. Altieri (TEA DUE) |
"CORRIDORE NELLA PIOGGIA" di Alan D. Altieri (TEA DUE) |
"ULTIMA LUCE" di Alan D. Altieri (TEA DUE) |